È una buona idea accettare la richiesta d’amicizia su Facebook da una ragazza, Ma Rina, che è appena arrivata al college, che è sempre solitaria, che gira perennemente con il cappuccio della felpa in testa, che è affetta da tricotillomania (l’atto ossessivo e compulsivo di strapparsi capelli e sopracciglia) che posta continuamente video di animazione creativi ma inquietanti e che ha zero amici sul social?
Laura pensa di sì. Lei, al contrario, è una ragazza socievole, ben integrata, diligente, sportiva, fidanzata con il classico bravo ragazzo lanciato in una brillante carriera come medico e inserita in un gruppo di amicizie la cui parte femminile è spensierata e conformista quanto basta per suggerirle di ignorare Ma Rina, se non altro per mantenere le giusta distanze con la “diversità”.
Ma Laura è troppo sensibile per non rispondere alla chiamata di una ragazza che in fondo, pensa, ha solo bisogno di essere aiutata ad inserirsi al college e accettata per la sua timidezza e forse anche per le sue fobie. I video che Ma Rina posta su Facebook poi, per quanto criptici, descrivono una persona di talento che ha un gran bisogno di esprimersi.
Dopo la generazione degli horror che usato e abusato degli elettrodomestici di uso quotidiano come televisione, radio e telefono, era inevitabile che in questi anni si arrivasse a internet e ai social network. Friend Requiest – La morte ha il tuo profilo si inserisce in questo filone ma i risultati ottenuti da Simon Verhoeven non sono sufficienti per farne un buon film.
Va riconosciuto al regista di aver saputo mantenere fino al termine dei novanta minuti di pellicola una “visione” della storia e del girato coerente, senza voli pindarici o digressioni inutili, sebbene siano presenti incongruenze. Detto questo, occorre però soffermarsi sul limite più grande di un lavoro dove il social, che già nel titolo avrebbe dovuto essere protagonista e fulcro del film, diventi in realtà quasi subito soltanto un pretesto per imbastire una storia di ordinario horror in cui tutti i più classici elementi del genere non vengono sfruttati o sono usati male e parzialmente, per finire con la ciliegina sulla torta del disagio risalente a traumi infantili. Non molto per farne una pellicola indimenticabile.
“Cos’altro volete da me?” – chiede Laura, disperata, nel bel mezzo di tutti i suoi guai, preceduti da una serie di fatti sconvolgenti ad amici e familiari. “Solo che diventiamo amiche. Amiche del cuore per sempre” – La risposta dell’entità è forse il tentativo di Verhoeven di dare un senso a qualcosa che, per come è stato presentato e sviluppato, … un senso non ce l’ha.
Verso il finale il regista, con l’intento evidentemente di introdurre un ulteriore elemento “pedagogico” paragona il computer allo “specchio nero” attraverso il quale le streghe si mettevano in contatto con l’aldilà. Peccato che nel frattempo si sia capito che i social, se usati a sproposito, siano ancora più dannosi e che, come sempre, il pericolo non viene dagli “amici” ma da se stessi. I Black Mirror che ci piacciono sono altri.
Friend request: l’orrore mette ‘mi piace’
Facebook diventa un pretesto per rispolverare i classici cliché horror, senza alcuna freschezza.