Uno degli elementi che ci fa capire quando ci troviamo di fronte ad una serie televisiva di qualità è nella sua capacità di riuscire, già dal pilot, a catturare l’attenzione del telespettatore e a trascinarlo all’interno del suo universo. Ecco, lo show di cui vi parlerò riesce a fare tutto questo già nei primi venti minuti che sintetizzano perfettamente l’essenza di questo prodotto: un uomo esce di galera, entra in un bar e fa sesso con la barista, ruba un’automobile e va a chiedere informazioni riguardanti una persona ad un travestito che di mestiere fa l’hacker, segue un adrenalinico inseguimento con degli uomini che cercano di catturare invano il nostro eroe che si dirige verso un paesino dimenticato da Dio, riuscendo a scovare la persona misteriosa (che si scopre essere una donna) e, dulcis in fundo, all’interno di una bettola l’ex galeotto, dopo una violentissima collutazione, ruba l’identità dell’uomo destinato a diventare il nuovo sceriffo del paesino. Se queste premesse non vi hanno scoraggiato ma, anzi, vi hanno tenuti incollati davanti allo schermo tra un misto di WTF e meraviglia, non abbiate paura e immergetevi nel mondo di Banshee, la serie che ha fatto conoscere al mondo il canale premium cable americano Cinemax (l’ultima puntata di Banshee è stata trasmessa qualche giorno fa su Sky Atlantic).
Senza il successo di Banshee, Cinemax non avrebbe mai potuto produrre serie come The Knick e Outcast.
Cinemax, di proprietà della HBO, è un canale con un target prevalentemente maschile specializzato in film horror, d’azione e porno softcore che nel 2013, dopo aver co-prodotto con network inglesi un paio di serie (Strike Back e Hunted), decide di puntare in maniera decisa sulle produzioni originali, mandando in onda lo show che riscriverà le regole del pulp in televisione. Creata da David Schickler e Jonathan Tropper (il vero showrunner della serie), con produttore esecutivo Alan Ball (Mr. Six Feet Under e True Blood), Banshee rappresenta alla perfezione i canoni del canale che lo ospita: questo perché, se vogliamo dare etichettare questo prodotto (cosa difficilissima da fare), potremmo definire la serie come una soap opera per “uomini che non devono chiedere mai”, che fa dell’azione, del sesso e soprattutto della violenza i suoi punti di forza.
Nessun altro canale televisivo, neanche la rivoluzionaria HBO, può permettersi di mostrare in TV quello che Cinemax fa vedere in Banshee.
Se vi aspettate qui una scrittura raffinata alla Sopranos, alla The Wire o alla Breaking Bad è meglio che lasciate perdere, perché il fine ultimo di Banshee non è quello di analizzare la natura umana o quello di condannare la criminalità e il malaffare in America usando l’iperbole dell’iperviolenza, ma è solo e soltanto uno: intrattenere, intrattenere e intrattenere. La trama, molto lineare, procede per accumulo ed è spesso e volentieri un pretesto per rappresentare scene che solo in uno show come Banshee si possono vedere: sesso esplicito (ai limiti della pornografia), splatter (i livelli di gore presenti qui farebbero impallidire molti film horror), tanto action e il vero piatto forte dello show ovvero i combattimenti, che sono sicuramente i momenti più memorabili dello show (non a caso, Cinemax ha avuto il buon senso di lasciare tutti i combattimenti più spettacolari disponibili su YouTube). Tutto è sopra le righe in questa serie, tutto è eccessivo, tutto è esagerato ma non sfocia mai nel ridicolo e nel trash per un motivo ben preciso, quello di non prendersi mai troppo sul serio, grazie anche alla capacità degli autori di giocare con gli stereotipi del genere pulp che permette allo show di essere volutamente kitsch e di cattivo gusto.
Banshee è un guilty pleasure per uomini e di questo non se ne vergogna minimamente.
Il film è ambientato in una cittadina che ricorda molto quella del film A History Of Violence di David Cronenberg (da cui ha preso spunto) ma le ispirazioni maggiori dello show Cinemax vengono dal cinema di Hong Kong (per l’uso del montaggio sfrenato e di alcune soluzioni registiche tipiche di registi come John Woo e Tsui Hark) e dal cinema americano di genere anni Ottanta e Novanta, tra tutti i film di John Carpenter (e non è un caso che il coordinatore dei bravissimi stunt di Banshee sia Marcus Young, che ha lavorato in Grosso Guaio a Chinatown ed Essi Vivono).
Altro elemento vincente di Banshee è quello di aver creato dei personaggi principali e secondari iconici e indimenticabili.
In Banshee non c’è un solo character, neanche uno, che sia positivo ma questo agli autori non importa perché è proprio nella loro natura di essere antieroi e politicamente scorretti che acquisiscono un oscuro fascino. Al centro della scena ci sono ovviamente l’improvvisato sceriffo Lucas Hood (Antony Starr), il gangster ex Amish Kai Proctor (Ulrich Thomsen, il protagonista del grande film di Vintenberg Festen) e la ex ladra, nonché novella moglie esemplare e madre di famiglia Carrie (Ivana Milicevic) ma se dovessimo citare tutti i personaggi memorabili che compaiono in Banshee uscirebbe fuori una lista chilometrica. Una considerazione sui personaggi femminili della serie: in uno show dove gli uomini sono tutti personaggi talmente negativi che “il più pulito ha la rogna”, anche le donzelle sono estremamente carismatiche, non si fanno molti problemi ad usare armi da guerra e non si tirano certo indietro ad un combattimento corpo a corpo ed è per questo motivo che stranamente Banshee, prodotto molto machista, piace tanto anche alle donne.
Le quattro stagioni di Banshee, pur non perdendo mai la sua identità, si diversificano una dall’altra.
La prima stagione, sicuramente la più tamarra delle quattro, è il biglietto di presentazione dello show che dà libero sfogo alla creatività un pò perversa dei suoi autori perchè, signori, dentro c’è di tutto: mafia russa, mafia Amish, travestitismo, indiani, religioni improbabili e chi ne ha più ne metta; nella seconda invece c’è un evoluzione drammatica nell’approccio di scrittura dei personaggi (soprattutto quelli di Hood e di Carrie) ma, non rispettando la linea guida di Banshee di non prendersi troppo sul serio, in alcuni momenti il dramma stona con il contesto generale, rendendo questa stagione la più debole delle quattro. Ma poi, finalmente, assistiamo al vero capolavoro dello show Cinemax, ovvero la terza stagione; qui si ritorna allo spirito iniziale di Banshee e non solo funziona tutto alla grande ma alcune scelte elevano il prodotto a livelli mai visti prima in televisione per un action: ritmo forsennato, regia pazzesca, combattimenti coreografati divinamente (tra cui uno diventato cult, quello tra Burton e Nola) e c’è anche spazio per citazioni cinefile inaspettate (Distretto 13 e The Hurt Locker le più evidenti).
Secondo i piani originari Banshee sarebbe dovuto durare cinque stagioni ma, per una scelta del suo showrunner, si è optato per farla chiudere alla quarta.
Alla fine il suo buon lavoro lo show riesce a farlo anche nella sua ultima stagione, riuscendo a chiudere tutte le storylines e dando un finale appagante per i fan (diciamo un “lieto fine”, per i suoi standard) ma la sensazione che aleggia, vedendo la stagione finale, è di una chiusura troppo affrettata (per la tanta carne al fuoco messa durante l’annata) e un pò approssimativa della serie; forse il motivo principale della scelta di Tropper di chiudere prima Banshee sta nel fatto che quest’anno lo scrittore/autore è stato ingaggiato dalla HBO per diventare uno degli autori di Vinyl (poi cancellato nonostante l’iniziale rinnovo) e questo, forse, ha messo in secondo piano la sua creatura.
Questo finale ha lasciato a chi vi scrive un po’ (ma solo un pò) l’amaro in bocca ma, se è vero che l’importante non è quello che si trova alla fine di una corsa ma quello che si prova mentre si corre, non bisogna far altro che ringraziare Cinemax e tutti quelli che hanno lavorato a uno dei prodotti televisivi più divertenti degli ultimi anni. Se volete anche voi salire sull’ottovolante Banshee, potete recuperare la serie sul servizio on demand di Sky: non ve ne pentirete!