Le scelte dei telespettatori americani spesso sono difficili da comprendere: alcune serie sopravvalutate come The Strain e Tyrant riescono a ottenere e mantenere – nonostante tutti i loro difetti – dei buoni ascolti, mentre prodotti splendidi come Halt And Catch Fire e TURN sono praticamente snobbati dal pubblico; TURN: Washington’s Spies, il period drama prodotto dalla AMC, è una serie completamente inedita in Italia (e inspiegabilmente ignorata dalla critica) che, con la sua terza stagione appena conclusa, ha raggiunto l’apice della maturità.
La serie è ispirata al romanzo dello storico americano Alexander Rose.
TURN racconta la storia vera del Culper Ring, la prima rete di spionaggio americana che, durante la guerra d’indipendenza contro l’Inghilterra, era sotto il comando del generale George Washington (interpretato nella serie da Ian Kahn) e guidata dal maggiore Benjamin Tallmadge (Seth Numrich); il fiore all’occhiello di questa rete è Abraham Woodhull (interpretato da Jamie Bell, l’indimenticato protagonista di Billy Elliot), un coltivatore figlio del giudice Richard Woodhull (Kevin McNally) che, per cause di forza maggiore, diventerà una spia con il compito di dare informazioni riguardo gli spostamenti degli inglesi, in modo tale che i coloni possano anticiparne le mosse in battaglia. Ovviamente affrontare l’esercito britannico non sarà una passeggiata, soprattutto se si hanno di fronte personalità come il rigido maggiore Edmund Hewlett (Burn Gorman), il brillante capo dell’intelligence John Andrè (JJ Feild) e il cattivissimo capitano John Graves Simcoe (Samuel Roukin).
Nella terza stagione la situazione, già di per sé non semplice, si fa ancora più ingarbugliata.
Il Culper Ring, dopo aver ottenuto importanti risultati contro gli inglesi, ha però un problema da affrontare: il rischio concreto che la copertura di Abraham salti (l’uomo si salverà per un pelo); dall’altra parte invece John Andrè ha un’idea che potrebbe costare molto cara all’esercito continentale ovvero convincere il Generale Benedict Arnold (Owain Yeoman) a passare informazioni strategiche all’Inghilterra facendo leva sulla sua amata Peggy Shippen (Ksenia Solo) ma Tallmadge e il Culper Ring riescono in tempo ad evitare che la situazione precipiti, provocando la fuga di Arnold (che passerà alle linee nemiche) e firmando la condanna a morte di Andrè.
TURN ha poco da invidiare a serie spy più blasonate come The Americans.
Il creatore e showrunner Craig Silverstein è riuscito in tre anni a costruire un prodotto splendidamente confezionato (regia, fotografia e scenografie sono di altissimo livello) che non ha, come ci si può aspettare da un period drama del genere, un ritmo narrativo lento ma al contrario (soprattutto a partire dalla seconda stagione) gli eventi si concatenano in maniera sostenuta; i colpi di scena e i plot twist sono all’ordine del giorno (stare dietro a tutto ciò che accade in TURN non è semplicissimo) e sicuramente non esiste il rischio che il telespettatore si annoi durante la visione.
Poi, come ogni buona spy story che si rispetti, la serie si concentra molto sul lato psicologico dei vari personaggi.
La cosa interessante è che, se escludiamo Simcoe (un villain a tutti gli effetti), nessun character in TURN è veramente buono o cattivo e, spesso e volentieri, lo spettatore si trova a parteggiare non per i protagonisti (Abraham avrà un’evoluzione che lo porterà a diventare un uomo senza scrupoli) ma per gli inglesi, soprattutto quando si tratta di Hewlett e Andrè (in assoluto i personaggi migliori della serie); ogni comprimario agisce in maniera coerente e razionale da una parte e dall’altra creando così un legame con colui che guarda la serie (che giustificherà le loro sofferte ma inevitabili decisioni) e questo è un risultato che si riesce ad ottenere solo grazie ad una sceneggiatura solidissima. Poi il tutto è perfezionato dal lavoro degli attori, uno più bravo dell’altro: questo è il classico prodotto dove interpreti relegati in ruoli di secondo piano per il cinema e per la televisione da una vita (Jamie Bell è ovviamente fuori dall’elenco) riescono a mettersi in mostra con performance che, in seguito, potrebbero permettere alle loro carriere di fare un deciso passo in avanti.
La AMC non ha ancora annunciato se rinnoverà la serie per una quarta stagione o no: se ci dovessimo basare solo sugli ascolti, TURN non avrebbe scampo (ha avuto una media quest’anno di 0.14 di rating nella fascia 18-49, una miseria) ma, come ogni anno, il network smentisce tutte le voci e lo rinnova; queste decisioni danno un’idea di come una rete come la AMC, che rispetto al passato non ha più grandi prodotti di punta (se escludiamo The Walking Dead e Better Call Saul), creda nella qualità dei progetti a cui lavora. Probabilmente la serie verrà cancellata (speriamo di no, io ci credo ancora) ma questo non cancellerà dalla memoria dei telespettatori il bel ricordo che uno show meraviglioso come questo riesce a regalare.