Ha preso nuovamente vita uno dei personaggi più utilizzati dal grande e dal piccolo schermo. Si tratta di Tarzan, l’uomo nato dalla penna di Edgar Rice Burroughs e cresciuto dalle scimmie nella giungla africana. David Yates, già regista di alcuni capitoli della fortunata saga di Harry Potter e dello spin-off Animali Fantastici: dove trovarli, in uscita nei prossimi mesi, in The legend of Tarzan ha ripreso in mano la storia del più famoso uomo selvaggio, cercando però di svecchiarla e di infondervi nuova linfa. Così il nostro Tarzan non è più Tarzan, ma John Clayton III (Alexander Skarsgård), Lord e legittimo erede di castello Greystoke, tornato a Londra in compagnia dell’ormai moglie Jane (Margot Robbie). Sollecitato dal Primo Ministro Britannico e dal suo Consiglio a partecipare a una spedizione a Boma sotto invito del re belga Leopoldo, Clayton inizialmente rifiuta. Si farà allora vivo George Washington Williams (Samuel L. Jackson), diplomatico americano di colore, reso libero dalle recenti leggi statunitensi, che riuscirà molto presto a fargli cambiare idea, prospettandogli la possibilità dello schiavismo come uno dei pilastri della politica di Leopoldo in Congo. Giungeranno così in Africa dove ad aspettarli non sarà solo la tribù con cui è cresciuta Jane, ma anche il sinistro emissario belga Léon Rom (Chritoph Waltz), con il compito di consegnare Tarzan al Capo Mbonga (Djimon Hounsou), bramoso di ucciderlo, in cambio di preziosi diamanti con cui pagare l’esercito di Leopoldo.
Se Yates non è mai stato un regista troppo riconoscibile se non per il suo talento di staccare biglietti al cinema, in questo caso ha cercato di evolversi. La regia si fa virtuosa in poche scene mentre in altre la macchina a mano è fastidiosa e poco curata, il montaggio ha qualche difetto che potrebbe innervosire gli spettatori più attenti, mentre la fotografia desaturata e fredda risulta apprezzabile e funzionale all’ambientazione. Ma la cura vera e propria è stata messa nella caratterizzazione dei personaggi e nelle sottotrame politiche che superano di gran lunga la vista e rivista storia amorosa tra la donna civile e l’uomo civilizzato. Al contrario della maggior parte delle sceneggiature che hanno come soggetto il personaggio di Tarzan, qui la frase “Io Tarzan, tu Jane” è oggetto di ironia e sarcasmo, e non viene affatto ammessa da John Clayton, che tenta in ogni modo di rinnegare il suo passato nella giungla rivendicando le sue nobili origini. Ma ben presto, una volta tornato alla vera casa, si renderà conto che in lui vivono ormai due nature, quella civile e quella animale. Alexander Skarsgård risulta così essere un Tarzan ideale: non tradisce l’icona di uomo bello e muscoloso, i capelli lunghi e i voli con le liane. Ma lascia trasparire, grazie a una mimica tenue che nulla ha a che fare con l’urlo di un animale, un conflitto interiore profondo e sul punto di esplodere. Mosso dall’amore per Jane e della volontà di salvarla dalle grinfie di Léon Rom, risveglierà l’intera giungla, portando in primo piano il suo rapporto con la natura e il suo percorso di (ri)formazione a contatto con gli esseri con cui è cresciuto. A differenza di quanto accadde recentemente ne Il Libro della Giungla di Jon Faveu, Tarzan non è come Mowgli (il personaggio a lui più simile e che si confronta con animali parlanti e antropomorfizzati). Il suo rapporto con gli abitanti della giungla è intimo, fatto di sguardi, di intese silenziose e più potenti delle parole. E allo stesso modo Jane, lungi dall’essere la donzella in pericolo, ma forte e coraggiosa, è nel film non tanto per Tarzan, quanto per Rom, personaggio fantastico e magistralmente interpretato: come ogni cattivo che si rispetti è ambiguo e misterioso, per nulla minaccioso a vederlo, ma terribile con gli avversari, sadico al limite. Così sfuggevole da non farci capire la sua sessualità: è invaghito di Jane, o la idolatra per essere così tenace?
Né gli altri personaggi interpretati da Samuel L. Jackson e da Djimon Hounsou sono dimenticabili, ma sicuramente sacrificati rispetto agli altri. Yates sicuramente avrebbe potuto fare di meglio: approfondire i personaggi e le loro vicende, legare meglio la sottotrama politica a quella classica di Tarzan, cucire alla perfezione le scene in flashback -che fortunatamente raccontano la sua infanzia tra le scimmie e mostrano solo l’incontro con Jane e non l’evolversi della loro storia, per dimostrare ancora di più l’intento di produrre qualcosa di diverso- a quelle del presente. Ma non lo scopo finale non era presentare un capolavoro, ma sbancare ai botteghini. Purtroppo però, almeno negli Stati Uniti, il pubblico non sembra curioso: troppo stanchi di vedere Tarzan al cinema o troppo saturi di reboot?
The legend of Tarzan: the beauty killed the beast?
Di Elena Pisa
David Yates prova a raccontare un nuovo Tarzan ormai avvezzo ai costumi borghesi, e il suo ritorno alla giungla.