Su Netflix recentemente ci siamo imbattuti in cose sconosciute, estranee, ancora più strane. Stranger Things, arrivato un po’ in sordina e presto esploso come il caso televisivo dell’estate, è un piccolo miracolo dal budget presumibilmente ridicolo che rivive e ci fa rivivere tutti i topos della narrativa cinematografica (e non) degli anni ’80. I riferimenti più espliciti sono quelli al cinema di Steven Spielberg, in particolar modo con gli insistiti richiami a E.T. L’extraterrestre (1982), ma le citazioni cinefile sono parte integrante dello show: da I Goonies (1985) ad Alien (1979), da Stand By Me (1986) a Fenomeni paranormali incontrollabili (1984), da Nightmare (1984) a Explorers (1985), la narrazione diventa un saggio per immagini capace di risvegliare emozioni sopite in chi all’epoca già c’era e di suggerire un’atmosfera ‘esotica’ ma familiare a chi invece non era ancora nato.
Con un prodotto del genere il rischio –molto concreto– era che il risultato fosse un’arida operazione nostalgia incapace di apportare nulla di nuovo al panorama della serialità televisiva, e invece il risultato riesce a ricontestualizzare quel linguaggio esplorando scelte narrative molto contemporanee; coglie con un’attenzione sociologica non trascurabile l’essenza di quegli anni e ci fa guardare al nostro passato per farci riflettere sul presente.
Stranger Things è firmato dai Duffer Brothers, una coppia di registi e sceneggiatori fino ad ora pressoché sconosciuti ma di cui scommettiamo torneremo a sentir parlare, e prende le mosse dalla misteriosa scomparsa del dodicenne Will Byers in una sonnacchiosa cittadina dell’Indiana del 1983. Da subito è evidente che siamo di fronte a ‘cose più strane’ di una semplice sparizione e che la minaccia viene da una creatura famelica e arcana che sembra uscita da Silent Hill. Mentre la madre del bambino (una straordinaria Winona Ryder) inizia una discesa verso un’apparente pazzia e lo sceriffo locale si attiva con tutte le sue risorse per ritrovare Will, i suoi tre amici più cari non stanno con le mani in mano e forti di una volontà incrollabile si mettono sulle sue tracce, imbattendosi in una bambina spaventata e silenziosa che sembra venuta dal nulla e ha poteri paranormali (Millie Bobby Brown, un talento naturale).
Le premesse sono più che accattivanti, e più il plot si dipana più l’atmosfera à la Steven Spielberg si trasforma in qualcosa di diverso, molto più vicino ai territori di Stephen King. La regia, affidata ai fratelli Duffer e a uno Shawn Levy (Una scatenata dozzina, la trilogia di Una notte al museo, Gli Stagisti) insospettabilmente cupo, ha un ritmo calmo ma senza cali di tensione, che ci guida con passo inesorabile in un climax che non si risparmia scelte forti e che al contempo rifugge gli ‘sviluppi telecomandati’ propri della narrazione cinematografica. I giovani interpreti, frutto di un casting semplicemente perfetto, sono tutti di straordinario talento e soprattutto sono molto lontani dalla normalizzazione estetizzante dei giovani attori contemporanei; la sorpresa è che –guarda un po’– dei volti non perfetti possono avere uno straordinario carisma.
Un ruolo di primo piano nella restituzione dell’atmosfera di un’epoca è affidato a dettagli impeccabili, come i titoli di testa low-fi e la grafica dei poster alla Drew Struzan, ma un ruolo di primissimo piano è affidato alla colonna sonora, che grazie agli ampi tappeti sonori dei synth di Kyle Dixon e Michael Stein e ai successi radiofonici disseminati qui e lì ad arte fa da spina dorsale alla narrazione (perfetta la Should I Stay or Should I Go che da sola basterebbe a riassumere la trama).
Stranger Things ha un finale che apre a sviluppi futuri, ed è già sicura una seconda stagione, che sarà un direct sequel di quanto visto fin qui, sarà pervasa da una sensazione di pericolo ancora più forte e introdurrà molti nuovi personaggi cui i Duffer vorrebbero affidare un’ancora ipotetica terza e quarta stagione.
In poche parole Netflix ancora una volta ci stupisce con un prodotto molto più cinematografico di tanti film, che con la sua capacità di ricreare atmosfere familiari senza per questo rinunciare a innovare, si presenta come un perfetto antidoto alla piaga dei sequel e dei reboot, capace di far leva sull’effetto nostalgia senza abusarne. Un prodotto che trasuda passione per il cinema che è stato ma anche tanta voglia di raccontare qualcosa di nuovo.
Stranger Things: non il solito reboot
Se siete cresciuti negli anni '80 o semplicemente amate Stephen King o Steven Spielberg, non c'è serie TV più adatta a voi.