Ci siamo. Finalmente abbiamo visto Suicide Squad, il nuovo cinecomic DC che racconta la storia di un nutrito gruppo di villain (più o meno famosi) costretti con la forza a fare squadra e andare in missione per conto dei ‘buoni’.
IL PROBLEMA DEL CONFRONTO CON BATMAN V SUPERMAN
Il film viene dopo il cupo Batman v Superman, che con un responso della critica immeritatamente impietoso (anche se, chiariamoci, il film era tutt’altro che perfetto) e una corsa al botteghino relativamente insoddisfacente (lo studio mirava al miliardo di dollari globale), aveva reso nervosi i chairman Warner e di fatto trasformato Suicide Squad nel vero banco di prova per il futuro del DCEU, l’universo filmico legato ai cinecomic DC.
Nella convinzione che il problema della pellicola di Zack Snyder fossero solamente i toni tetri e drammatici, inadatti a un grande pubblico abituato alle atmosfere ben più colorate e sarcastiche dei cinecomic di casa Marvel, la Warner ha da una parte deciso di spingere il piede sull’acceleratore per l’uscita di Suicide Squad – con lo scopo di sbrigarsi a risollevare le sorti di un franchise che rischiava di morire sul nascere – e dall’altra deciso di alleggerire di molto i toni del film incentrato sul team dei villain DC, come dimostra la campagna promozionale fattasi sempre più colorata e irriverente (provate a confrontare il teaser dai toni dark del Comic Con 2015 con i coloratissimi spot in stile pop art che stanno accompagnando il lancio del film).
UN TRAILER LUNGO DUE ORE E DIECI
Dal momento che non viviamo nel paese delle fate, sappiamo tutti benissimo quanto gli investimenti del mercato cinematografico siano fatti più in nome della rimuneratività che dell’arte. Il che vuol dire che il pur dovuto e sacro rispetto del pubblico troppo spesso finisce per trasformarsi in una corsa alla ricerca del consenso che demolisce il processo creativo dei blockbuster, soprattutto in casi come quello di Suicide Squad, da cui dipende il futuro di un intero universo di pellicole interconnesse. Figuriamoci poi se un’improvvisa sterzata nella campagna pubblicitaria, passata dalle note lugubri di I started a joke all’art rock di Bohemian rapsody al glam di The ballroom blitz, indica che un’inversione a U nel marketing ha generato un hype insperato. Il risultato qual è? Che di trailer in trailer, lo stesso film ha finito per essere una sorta di trailer esteso di quel che potremo vedere nel futuro DC: un’opera in sé decisamente al di sotto delle aspettative (incredibilmente alte) che però riesce a farci venire una gran voglia di vedere subito nuovi film con Joker, Harley Quinn e, perché no, anche Deadshot.
LA SUICIDE SQUAD: CHI FUNZIONA E CHI NO
Suicide Squad è un film affascinante ma incredibilmente confuso. Senza stare a rivelarvi nulla della trama, quel che possiamo dirvi è che ovviamente da un film che ha per protagonisti dei supercattivi quel che ci si può aspettare è che il grosso della pellicola sia incentrato più sui conflitti interni che su quelli con un eventuale antagonista, e che la gestione di tale antagonista (un villain ancora più villain di loro) rischierà di essere a dir poco problematica. E, indovinate un po’, è proprio così.
La pellicola inizia da subito tratteggiando un profilo di tutti i comprimari, con uno spiegone tagliato in stile MTV che sembra non finire mai, ed effettivamente sono proprio i personaggi il miglior pregio del cinecomic. Deadshot funziona molto bene ed è forte del grande carisma di un Will Smith in ottima forma (nonostante sembri la versione giovane dello zio Phil di Bel-Air), il Rick Flag del bravo Joel Kinnaman è il suo completamento ideale (anche se la backstory sentimentale è giocata a dir poco male), il Boomerang di Jai Courtney si rivela una leva comica accennata ma apprezzabilissima, lo Slipknot di Adam Beach è una testa calda, la Katana di Karen Fukuhara meriterebbe un migliore approfondimento, il Killer Croc di Adewale Akinnuoye-Agbaje è lì per dare una nota ‘esotica’ al team, il Diablo di Jay Hernandez è un personaggio a tutto tondo pur nei limiti del poco spazio dedicatogli e la Amanda Waller di Viola Davis è – figuratamente – un terminator. Se vi aspettate che l’Incantatrice della magnetica Cara Delevingne rubi la scena come sembra fare nel trailer, resterete delusi: l’evoluzione del personaggio è rapidissima e meccanica, e all’apice della narrazione sembra non sappia fare di meglio che ballare una strana lambada. Sul cattivo del film e sui suoi sgherri poi sorvoliamo proprio: sembrano antagonisti usciti da una puntata ad alto budget dei Power Rangers.
IL JOKER DI LETO…
Joker e la sua ‘dolce metà’ Harley Quinn meritano un paragrafo a testa. Il cattivo interpretato da Jared Leto è stato sicuramente uno dei maggiori motivi di interesse durante la campagna promozionale, e diversamente non poteva essere: nonostante compaia per poco più di una decina di minuti, si tratta pur sempre di uno dei cattivi più iconici di sempre (in un recente sondaggio se la batte con Dracula e Darth Vader, per intenderci). Buttiamo le mani avanti: il personaggio potrebbe decisamente essere scritto meglio e a tratti l’imprevedibilità diventa incomprensibilità, momenti che dovrebbero essere iconici finiscono per avere il sapore di un videoclip e il montaggio “gggiovane” penalizza la buona performance dell’attore. Detto questo, il Joker di Leto è una sterzata inevitabile dagli straordinari predecessori eppure riesce tanto a riassumere quanto a tradire l’identità profonda del personaggio. Il glam del Joker di Jack Nicholson e l’istinto per il caos di quello di Heath Ledger (che resta il nostro preferito) qui trovano una sintesi, arricchita da una lettura metropolitana e hip hop piuttosto contemporanea – anche troppo. Nonostante questo, agli occhi di chi scrive rimane una lettura sostanzialmente sbagliata. Inoltre la performance vocale è al di sotto delle aspettative, ma il grande talento di Leto si vede tutto nei repentini cambi di velocità e d’umore, nonché in quella che probabilmente è la migliore e più terrificante risata nella storia del personaggio.
UNA HARLEY QUINN PERFETTA È LA VERA REGINA DEL FILM
La Harley Quinn di Margot Robbie è una vera bomba. Carismatica, fragile, orgogliosa, innamorata e divertente, è indiscutibilmente il vero fulcro della pellicola. Nonostante l’evoluzione del suo personaggio non sfugga ai danni causati dal pessimo montaggio, l’ottimo concept e la brillantissima interpretazione ci restituiscono un personaggio con cui si entra subito in sintonia e che è capace di un’ampia gamma emotiva nonché di fare da vero collante per il team.
Leader nata; non meno carismatica del suo ‘pudding’ (sì, soprannomina Joker così anche nel film), tra evoluzioni aeree e una passione per la violenza sfrenata è tanto sexy quanto pericolosa, senza che il binomio scada nel più prevedibile dei cliché. È il trionfo dell’impulsività ma in fondo, secondo lo script, vorrebbe anche ambire al ruolo di casalinga e mogliettina modello (scena divertente quanto concettualmente criticabile). Rimane da capire se la sua ‘maschera criminale’ sia il frutto di agenti chimici o della volontà di assecondare Joker, su questo gli sceneggiatori hanno fatto i vaghi, ma quel che è certo è che il look à la Debbie Harry dei Blondie è indovinatissimo.
IL REGISTA SAREBBE DAVID AYER? PARLIAMONE…
Ovviamente la versione ufficiale è sempre quella: grande collaborazione tra lo studio e il regista, grande soddisfazione e orgoglio di tutti, grande coerenza. Ma, al netto delle dichiarazioni politiche che garantiranno a David Ayer di continuare a lavorare a Hollywood senza subire ostracismi, la realtà è ben diversa.
Sempre più spesso vengono messi alla guida di blockbuster registi con poca esperienza in questo tipo di pellicole, e i motivi sono molti: costano poco, sono allettati da budget che altrimenti non avrebbero a disposizione, sono più ‘pilotabili’ da parte dei produttori e in fase contrattuale non esigono lunghi tempi di lavorazione richiesti da un certo tipo di perfezionismo che solo i grandi si possono permettere. Basti pensare che Ayer ha dovuto scrivere la sceneggiatura in sole sei settimane (SEI) e che le riprese sono partite subito.
La Warner però ha subito capito che il tono serioso e il ritmo non proprio velocissimo impartito alla pellicola dal cineasta cozzavano con l’accoglienza avuta del Batman v Superman di Snyder, e ha ‘tolto di mano’ il film al regista commissionando una versione alternativa alla stessa company che aveva curato i trailer che tanto successo avevano riscosso: la Trailer Park.
Il risultato sono state due versioni molto diverse del film: quella più sobria del regista e quella voluta dai finanziatori, dove il team veniva introdotto sin dall’inizio, c’era un clima più leggero e la grafica chiassosa della campagna pubblicitaria irrompeva nella pellicola stessa come in un mega-trailer. Realizzati due test screening nella California del Nord, lo studio non ha avuto dubbi: il pubblico voleva la versione più pop e Ayer andava ‘commissariato’.
Da qui una rottura forte col regista e la decisione di ridurre a 50 milioni il budget per Bright, poliziesco sui generis con fate e orchi che il regista avrebbe dovuto realizzare per lo studio (in associazione con MGM). Il resto è storia: Ayer si è sentito insultato ed è arrivato ad abbandonare la sua agenzia (la CAA) per passare alla WME (che rappresenta il Max Landis sceneggiatore di Bright) e quindi tornare alla CAA dopo trattative forsennate; mentre il progetto Bright è passato dalla Warner/MGM a Netflix, che concederà il rating-R e con 90 milioni di budget ne ha fatto il proprio più grande investimento di sempre.
IL VIAVAI AL MONTAGGIO: IL VERO DRAMMA DEL FILM
Suicide Squad ha un vero, grande, punto debole: il montaggio. Sin dai primi minuti, un uso invasivo e volgare della grafica avvelena il linguaggio filmico rendendo la pellicola a tratti indistinguibile da una qualsiasi pubblicità, una quantità di flashback al di là di ogni tollerabilità uccide il climax della storia, e scelte di taglio a dir poco scriteriate riescono a rendere immotivate alcune delle scelte dei protagonisti. Dietro a un tale disastro c’è però più di un responsabile.
Se infatti il nome che troviamo nei titoli di coda è quello di John Gilroy, la realtà è che dapprima Gilroy è stato affiancato per ordine dello studio dai tecnici della Trailer Park, e che poi il montaggio finale è stato tolto dalle sue mani e affidato al noto montatore (di pellicola quanto di musiche) Michael Tronick. Il problema è che questo continuo e confuso alternarsi di professionisti, soggetto alle ingerenze sempre più invasive di chairman nervosissimi per le scadenze vicine, il budget che lievitava e la pressione data dalle pre-proiezioni californiane, ha portato a un risultato finale indegno di un film da 175 milioni di dollari.
Le pecche del montaggio purtroppo coinvolgono anche le musiche: il film infatti è accompagnato da una colonna sonora a tratti straordinaria che vuole strizzare l’occhio all’Awsome Mixtape di Guardiani della Galassia senza però averne la compattezza, ma che soprattutto è soggetta a un montaggio sonoro che in alcuni passaggi ha la gradevolezza di un coito interrotto.
IN CONCLUSIONE
Suicide Squad ha risentito di una lavorazione a dir poco travagliata, e tanto il nervosismo della produzione quanto i continui cambi di passo traspaiono pienamente nel risultato finale. Ciò non toglie che in più di un momento il film funzioni sia per l’azione che per l’ironia e che alcuni dei personaggi, nonostante tutto, siano solidi e straordinariamente carismatici. Tutto ciò però non basta e i problemi del film affossano ogni slancio.
Secondo gli analisti, per raggiungere il break even la pellicola dovrà raggiungere i 750 milioni di dollari e per essere considerata un successo superare gli 800. In attesa dei dati del botteghino, non rimane che riporre fiducia nella Wonder Woman di Patty Jenkins (Monster) e nel grande talento registico di Ben Affleck, che non solo dirigerà i nuovi film di Batman ma supervisionerà anche il lavoro di Zack Snyder con Justice League. Adesso c’è il Joker in campo, il tempo degli scherzi è finito.