Quando tre anni fa la Disney annunciò il remake di Pete’s Dragon (1977), l’idea lasciò molti perplessi. Non perché la pellicola originale – di cui apparentemente non si ricorda più nessuno – non fosse bella, ma perché a quarant’anni di distanza sembrava il perfetto esempio di un’idea di cinema ormai estinta da decenni.
ELLIOTT IL DRAGO INVISIBILE: IL FILM DEL ’77, TRA CARTOON E MARY POPPINS
Il film originale, in Italia intitolato Elliott il drago invisibile, era infatti una commedia musicale per bambini che, con un’ambientazione primo-novecentesca à la Mary Poppins, raccontava in tecnica mista (live action e animazione tradizionale) la storia di un orfano e del suo migliore amico, un panciuto drago invisibile con un folto ciuffo rosa in testa e delle minuscole alette sulle spalle. La narrazione si svolgeva in una piccola cittadina di pescatori del nome impronunciabile, in cui i danni procurati dalle goffe movenze dell’invisibile Elliott finivano sempre per venire attribuiti al piccolo Pete, e il villain principale era il Dr. Terminus, un carismatico truffatore ambulante che andava vendendo improbabili pozioni su di un carretto a vela e che sperava di trovare nei poteri di Elliott un’opportunità per arricchirsi. A rendere il tutto ancora più anacronistico, il fatto che molti dialoghi fossero cantati sulle note delle pur riuscitissime canzoni di Joel Hirschhorn (già autore per Elvis Presley e Roy Orbison), valsegli la doppia candidatura agli Oscar® per la miglior canzone e per la miglior colonna sonora.
Capite bene che la trasposizione di questi ingredienti in una pellicola del 2016 sembrava a dir poco ostica, eppure non avevamo fatto i conti con David Lowery, che da sincero amante del film del ’77 aveva presentato alla Walt Disney Company una sceneggiatura capace di stravolgere la storia originale pur rimanendo profondamente fedele ai sentimenti che l’animavano. Uno script dolce e malinconico, dotato di una profondità e un’intensità decisamente inaspettate. Un piccolo capolavoro.
IL DRAGO INVISIBILE È UN’AVVENTURA MAGICA DAI TONI AGRODOLCI
Scordatevi il primo novecento, le canzoni, i truffatori che si aggirano su strani trabiccoli e molta di quella spensieratezza. Sin dalle prime scene del film è evidente che il tono sarà completamente diverso.
È il 1982 (sì, tornano ancora una volta gli anni ’80). Pete è un orfano che, dopo esser sopravvissuto a un incidente d’auto che ha ucciso i genitori ed essersi ritrovato solo e spaventato in un bosco, è stato adottato e cresciuto per sei anni come un enfant sauvage dal quello che lui chiama Elliott, un maestoso drago coperto da una folta pelliccia verde qui portato in vita dalla straordinaria CGI della Weta Digital. Le luci ambrate di Bojan Bazzelli e i raggi di sole che filtrano tra le foglie ci trasportano subito in un mondo ‘vero’ e ‘caldo’, gli arpeggi delle chitarre acustiche creano l’atmosfera perfetta e quella natura isolata e meditativa diventa fondamentale per costruire il senso di profonda dolcezza che pervade il film.
I toni non sono quelli della commedia, quanto quelli del film d’avventura, ma la regia straordinaria di Lowery (il cui script è tanto piaciuto alla Disney da portarli a proporgli anche la direzione) è lenta e di ampio respiro pur senza diventare mai noiosa. Mentre il campo lunghissimo si incarica di restituire la vastità di foreste incontaminate ma minacciate dall’uomo, inquadrature sempre piuttosto ravvicinate raccontano le emozioni di uomini e donne (ma anche bambini e draghi) che amano vite semplici. Sin dall’amaro inizio, gli spettatori adulti saranno accompagnati da un sottile ma costante senso di malinconia, che però non sarà mai sgradevole e anzi si rivelerà fondamentale per amplificare tutte le emozioni raccontate.
Il rapporto tra Pete, un bambino (almeno all’inizio della pellicola) solo al mondo, e il drago che l’ha adottato, ricorderà a chiunque abbia avuto un cane il legame ancestrale di fiducia e affetto incondizionato che può legarci al ‘miglior amico dell’uomo’. A differenza del film del ’77, Elliott riesce ad essere tanto docile e protettivo quanto imponente e temibile, e nonostante le ampie ali da pipistrello, nel solcare i cieli avrà una goffaggine che non potrà che riportarci alla mente i disegni animati dell’originale.
Davanti a questo grande bestione così inumano ma così amabile, la sensazione che prevarrà sarà la stessa che leggeremo sui volti di Bryce Dallas Howard e Robert Redford quando vi si imbatteranno: stupore e meraviglia.
DAVID LOWERY CONFEZIONA UN PERFETTO FILM ALLA STEVEN SPIELBERG (DEGLI ANNI ’80)
Quell’espressione dipinta sui volti dei due eccellenti attori – perfetti nel ruolo rispettivamente della figura materna e del nonno amorevole segnato da un ‘portentoso’ evento del passato – è la chiave per riassumere il film. L’emozione e lo stupore non vengono raccontati mostrandone esplicitamente la causa ma vengono resi con lente carrellate a stringere sui visi degli attori; quelle sensazioni non vengono raccontate, bensì risvegliate con quell’empatia che solo un volto umano può scatenare. Nel cinema questo espediente narrativo ha un nome preciso, e viene da quel cineasta che ne ha fatto uno strumento narrativo imprescindibile e il cui spirito ispiratore aleggia sullo schermo per tutta la durata della pellicola: parliamo delle “Spielberg faces“.
Se la prima stagione dell’acclamato Stranger Things qualche anno fa aveva risvegliato in voi la voglia di quei film d’avventura ‘puliti’ ma complessi diretti dal cineasta statunitense negli anni ’80, sappiate che ne Il drago invisibile troverete proprio quel tipo di cinema. David Lowery ha girato una pellicola à la Spielberg come ormai neanche più Spielberg saprebbe fare. Delicato, toccante e dolce, è un tipo di film per tutta la famiglia in cui ognuno può leggere la storia a livelli diversi, senza però sacrificare nulla dell’esperienza d’insieme.
UNA STORIA SUL TRAUMA E SULLA DIFFICOLTÀ DEL CAMBIAMENTO
Il drago invisibile racconta la storia fantastica dell’amicizia tra un bambino e il suo drago, quella dell’incontro di un orfano con una famiglia vera e quella della ‘caccia al drago’, certo. Ma a ben vedere, il comune denominatore di tutto quel che accade in pellicola è meno esplicito ma ben più profondo. Pete’s Dragon è un film sulla perdita e sulla difficoltà di adattarsi al cambiamento che ne consegue.
Un piccolissimo Pete è costretto da subito ad affrontare da solo la scomparsa traumatica dei genitori, processo che per lunghi anni lo porterà ad abituarsi all’esilio nei boschi e a un legame totalizzante con Elliott: amico, fratello, padre, madre. Al contempo però, quando Pete verrà ‘salvato’ dai boschi e amorevolmente riportato alla civilizzazione, sia lui che il drago soffriranno del lancinante dolore di chi viene strappato ai propri affetti. E ancora, quando Pete finalmente scoprirà le prime gioie riservategli dalla famiglia del personaggio di Bryce Dallas Howard, sarà Elliott a sentirsi abbandonato, perso, a dover immaginare un futuro senza il suo amico del cuore (e tutto per il suo bene). Quando poi dei boscaioli inizieranno a tagliare gli alberi della foresta che per tanti anni ha dato ospitalità ai protagonisti, inizieremo ad avvertire una minaccia alla ‘magia’ della natura, e soprattutto quando i cacciatori vorranno provare a fare della bestia fantastica un trofeo senza precedenti (motivazione ancora più spietata dell’interesse economico del caricaturale Dr. Terminus del film originale), sarà lo spettatore a dover fare i conti con l’eventualità della scomparsa di un animale ultimo della sua specie, della fine senza ritorno di una meraviglia della natura. Come già detto, la perdita (dei genitori, del proprio migliore amico, di qualcosa che non potrà più tornare) è il tema costante di un film inusualmente malinconico nel suo genere, eppure magnificamente concepito e realizzato.
IN CONCLUSIONE, UN FILM MAGICO
David Lowery (A Ghost Story, Old Man and The Gun)è riuscito nell’ardua impresa di fare un remake che non teme alcun confronto con il bellissimo originale e, anzi, riesce a superarlo anche nel cuore di chi da piccolo aveva amato quel goffo drago dal ciuffo rosa. Alla Disney se ne sono resi conto e, dopo avergli proposto la regia di Pete’s Dragon a script già concluso, gli hanno affidato la sceneggiatura e la direzione di uno dei progetti più rischiosi dei prossimi anni: il live action di Peter Pan. In attesa di scoprire se il cineasta riuscirà a riproporre la propria formula di successo sull’Isola Che Non C’è, però, vi consigliamo di andare in sala a conoscere il nuovo Elliott. Il drago invisibile rimane una pellicola per famiglie, certo, quindi aspettatevi molti momenti divertenti e tanta dolcezza. Quel che conta però è che, al netto dei facili sentimenti, sotto questa storia per i più piccoli troverete una profondità e un’intensità capaci di parlare al cuore di ogni tipo di spettatore. Si tratta di un film intessuto di magia. Per un paio d’ore scarse lasciateci credere che i draghi esistano davvero: potrebbero sparire da un momento all’altro come succede all’innocenza della nostra infanzia.