Se incontrate una donna che ha una bimba poco più che neonata ma è completamente concentrata su sé stessa e del tutto inadeguata a fare la mamma, o chiamate il Telefono azzurro oppure rapite la bambina e ve ne prendete cura. Semplice.
Tallulah (Ellen Page), il nome della protagonista da cui il titolo del film diretto da Sian Heder, opta per la seconda ipotesi. Tallullah è una giovane donna che vive in un furgone insieme al suo fidanzato Nico (Evan Jonigkeit). Lei ha scelto la libertà assoluta e sogna di andare a vivere in India, la scelta di lui invece è una necessità momentanea per una situazione familiare che non sopportava più. Suo padre infatti ha abbandonato la famiglia dopo essersi innamorato di un uomo e da allora sua madre Margo (Allison Janney) non ha trovato di meglio che portare a galla tutte le sue nevrosi e programmare cicli di conferenze dove spiega dal punto di vista antropologico il disvalore del matrimonio. Tallulah ha l’aspetto di un’adolescente e si imbatte in Carolyn (Tammy Blanchard), una donna con una figlia di circa due anni. Carolyn rifiuta la maternità, vive la piccola Madison come un Inferno, si disinteressa completamente di lei anche quando sulla bimba incombono potenziali pericoli e, senza neanche conoscerla, chiede a Tallulah di farle da babysitter . Quando la donna torna a casa le mattina dopo stanca e ubriaca, si getta sul letto ancora incurante di Madison. Così quando Lu (Tallulah) fa per andarsene la bambina comincia a piangere a dirotto, la ragazza la prende in braccio, la calma e decide di rapirla e prendersene cura. Raggiunge Margo, la madre del suo ex ragazzo, e dice che Madison è la figlia di Nico. Da quel momento inizia un rapporto tra le due che permetterà ad ognuna di tirar fuori le personali criticità e in parte di prenderne coscienza. Con loro in seguito interagirà anche Carolyn che proprio dalla lunga assenza di Madison troverà il senso del suo essere madre.
Il film della regista americana mette sotto i riflettori l’inadeguatezza, vera o presunta, della genitorialità, un problema vecchio quanto il mondo, che peraltro il grande schermo ha ripreso a piene mani anche dalla cronaca, spesso purtroppo drammatica. Tallulah è sì il racconto di quanto sia complicata la maternità, ma in realtà è anche il tentativo di delineare il ritratto di tre donne diversissime ma in fondo accomunate dai rispettivi fallimenti e, soprattutto, dalla ricerca di una via d’uscita. La piccola Madison è lo strumento per collegare tre anime, “Non saresti la prima madre di merda. Siamo tutte persone orribili, ma umane”, e non è forse un caso che il film sia stato diretto da una regista donna. Il loro è un “percorso di guerra” dove il nemico è parte di ognuna, il più pericoloso che ci sia.
La pellicola parte un po’ in sordina ma poi prende quota con il passare dei minuti grazie soprattutto all’interpretazione delle attrici, su tutte Ellen Page e Allison Janney che hanno lavorato insieme anche in Juno, e alla storia, sicuramente di grande presa emotiva. Ellen Page la troviamo ancora una volta, più o meno, nel ruolo della ragazza madre disadattata (Juno). Il suo è un volto da fanciulla che sfida il tempo, ok, ma sarebbe un vero peccato se l’attrice si lasciasse imprigionare nel cliché e non percorra strade nuove e assai ardite che sono senza ombra di dubbio nelle sue corde interpretative.
I titoli di coda scorrono tradizionalmente su sfondo nero ma vale la pena restare fino al termine se non altro per ascoltare la bellissima Baby Where you are di Ted Lucas. Tallulah è lo spin-off di Madre, un corto della stessa Sian Heder, ed è un’esclusiva Netflix che lo ha anche prodotto e presentato al Sundance Film Festival 2016.
Tallulah, la difficoltà dell’essere genitori
Arriva direttamente su Netflix la pellicola da noi inedita di Sian Heder con Ellen Page.