È da qualche anno ormai che il canale via cavo americano AMC sta disperatamente cercando un nuovo prodotto di punta: dopo la fine di Breaking Bad e Mad Men infatti il network, se escludiamo il fenomeno The Walking Dead e Better Call Saul, non è ancora riuscito a proporre una show che possa richiamare un massiccio pubblico mainstream e che, al contempo, sia anche apprezzato dalla critica; in questo 2016 sembra però che, dopo numerosi tentativi andati male, la rete abbia finalmente trovato in Preacher, serie ispirata dal celebre fumetto di Garth Ennis e Steve Dillon, lo show giusto che può riportare la AMC di nuovo in un ruolo di primo piano nello scenario televisivo americano.
Questa prima, introduttiva stagione ha il compito di presentarci nel dettaglio i protagonisti della serie.
Jesse Custer (Dominic Cooper) è un ex delinquente che, per tener fede ad una promessa fatta al padre, diventa il pastore di una chiesa ad Annville, Texas; la cittadina, come tutto il mondo, è oggetto di invasione da parte di strane entità soprannaturali come Genesis, un potere frutto dell’unione tra bene e male di cui Jesse si appropria credendo che questo gli sia stato mandato direttamente da Dio (e lo userà in maniera non proprio ortodossa). Tra serafini killer, cowboy che vengono dall’inferno e impostori che prendono le sembianze di Dio Jesse si rende conto che quel potere di divino ha ben poco e, assieme alla sua ex ragazza Tulip (Ruth Negga) e al vampiro irlandese Cassidy (Joseph Gilgun), va alla ricerca, non figurata ma letterale, di Dio.
Fin dalla prima scena si intuiscono la qualità e le enormi potenzialità di Preacher.
La serie, sviluppata da Seth Rogen ed Evan Goldberg (che hanno anche diretto i primi due episodi) e capitanata dallo showrunner Sam Catlin (uno degli autori di punta di Breaking Bad), è un mix esplosivo di vari generi che spazia dal western all’horror passando per la dark comedy a sfondo religioso (in Italia sicuramente avrà qualche problema ad essere trasmessa) e questo fa di Preacher un prodotto molto originale nel panorama televisivo americano e non; uno dei suoi grandi punti di forza è la capacità di trascinare visivamente il telespettatore all’istante nel suo folle mondo e questo, oltre ad essere un merito di Rogen e Goldberg, è dato dal grande lavoro del comparto tecnico, in primis del direttore della fotografia Michael Slovis (reduce anche lui da Breaking Bad, come il responsabile delle musiche della serie Dave Porter). Inoltre lo show, anche se ha bisogno di qualche puntata per ingranare come si deve, ha una scrittura irriverente e brillante, in linea col tono grottesco del fumetto originario, che gestisce benissimo il ritmo narrativo e che mette in luce i suoi protagonisti decisamente singolari ma affascinanti, merito anche della bravura di Cooper, Negga e Gilgun (ormai la tendenza sempre crescente da parte delle produzioni americane di chiamare attori britannici per ruoli da protagonisti in cui interpretano personaggi statunitensi è un dato di fatto ineluttabile).
Tuttavia il problema fondamentale di Preacher è uno solo: è uno show col freno a mano tirato.
La AMC, si sa, è un network che tanto ha dato in questi anni alla Golden Age della televisione ed essendo un canale basic cable ha delle libertà, per quanto riguarda le tematiche e i contenuti, che i canali generalisti americani non hanno ma, se consideriamo invece le reti che vivono con gli abbonamenti (le premium cable), ha delle politiche aziendali più stringenti; AMC in particolare ha delle restrizioni nel mostrare scene di nudo e nell’utilizzo del turpiloquio molto più rigide rispetto ad altre basic cable, come per esempio FX. E’ chiaro quindi che un prodotto provocatorio come Preacher (già rinnovato per una seconda stagione da 13 episodi), che mostra orgogliosamente la sua essenza punk, in televisione perda gran parte della sua forza anarchica e sia più edulcorato dell’opera originale: non c’è sesso, i personaggi non sono mai sgradevoli e non si spinge sullo splatter quanto si dovrebbe (se la serie fosse andata in onda su HBO o Cinemax staremmo parlando di un altro show); è vero che se uno sceneggiatore in Italia presentasse ad un’emittente un soggetto che solo si avvicina a quello di Preacher il dirigente chiama i carabinieri seduta stante (e su questo gli americani stanno avanti a noi anni luce) ma nel 2016 i telespettatori sono più smaliziati rispetto al passato e osare un pò di più, oggi come oggi, è doveroso, soprattutto se la concorrenza si chiama HBO, Netflix, FX e Showtime.