Quello di Cristian Mungiu è un nome che probabilmente al grande pubblico del fine settimana non dice molto, eppure per i cinefili il regista romeno è un autore di quelli cui prestare sempre moltissima attenzione, fosse anche solo per il grande cinema regalatoci con 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni (2007) o con Oltre le Colline (2012). Ora, grazie a BiM, arriva in sala la sua nuova fatica, Un Padre Una Figlia (titolo originale Bacalaureat), e considerato che la pellicola è valsa a Mungiu il premio (ex æquo) per la miglior regia all’ultimo Festival de Cannes, l’occasione è di quella da non perdere.
Abbiamo visto per voi il film in anteprima e abbiamo incontrato il regista nella stessa sede, e anche se vi possiamo confermare che la critica francese dimostra un palato non sempre del tutto affine a quello dei colleghi italiani, Un Padre Una Figlia è una pellicola meravigliosamente realizzata.
La storia alla base del film è in realtà piuttosto scarna e diretta: una ragazza dall’ottimo profitto scolastico programma di lasciare la Romania per trasferirsi in Inghilterra, ma lo shock conseguente a un’aggressione subita pochissimi giorni prima degli esami di maturità rischia di minare il voto della prova e di conseguenza di scombinare tutti i suoi piani, qualora non consegua la votazione minima richiesta per l’ammissione nell’università britannica. La realtà è che il sogno di lasciare la Romania per un futuro più roseo non è tanto il suo, dato che sarebbe disposta a restare in patria per non separarsi dal proprio ragazzo, quanto quello del padre, medico cinquantenne onesto e disilluso che, dopo aver cercato di cambiare il proprio paese negli anni della rivoluzione, si ritrova in un contesto molto diverso da quello per cui aveva sperato di battersi anni prima.
È qui che subentra il cuore del film e la domanda su cui si regge tutta la sceneggiatura: un uomo rispettato, integro ed idealista, quanto è disposto a scendere a compromessi con i propri valori pure di garantire all’amata figlia un futuro migliore? Vale la pena di provare a corrompere qualche professore? Che ne sarà dell’esempio che si è sempre faticosamente dato come genitore?
Il film di Mungiu si regge tutto sui quesiti e non intende dare delle risposte. Chiaramente il timido tentativo di far pressione su un professore finirà per prendere diramazioni più ampie, che dimostreranno come sia facile passare da un favoritismo a una condotta di fatto corruttiva, eppure non ci sarà mai un vero e proprio climax in questo senso. D’altronde, come ha tenuto a ribadirci il regista, non era la corruzione a interessarlo, quanto la facilità con cui “ognuno di noi, a un certo punto della propria vita, cerchi strade più semplici piuttosto che adottare soluzioni che richiederebbero più tempo o più impegno”.
Bacalaureat (letteralmente ‘il diploma’) è a tutti gli effetti un film sulla famiglia, e in questo senso il titolo italiano, seppur poco fedele, sembra comunque adatto. Nella pellicola si respira in modo evidente la confusione di un padre che, in un momento non troppo soddisfacente della propria vita, sente sulle proprie spalle il peso del futuro della propria figlia e ha paura di non essere all’altezza. Per rendere tale incertezza il cineasta romeno crea un film che si muove in tondo, che sacrifica sviluppi narrativamente più soddisfacenti per trasmettere lo smarrimento di un uomo come di una nazione.
I rumori ambientali che invadono ogni scena diventano sovente i protagonisti di una realtà che sfugge al controllo, e i movimenti di macchina solo apparentemente poco rigorosi nascondono in realtà un perfezionismo patologico (Mungiu è noto per girare dai 30 ai 50 take per molte delle sue scene, con buona pace degli attori non proprio entusiasti dell’infinita ed estenuante ripetizione). Lo sviluppo orizzontale della sceneggiatura, con le sue frequenti reiterazioni e i suoi ‘vicoli ciechi’, è tanto statico risultare però tutt’altro che affascinante, e a tratti è addirittura tautologico, con la conseguenza che la pellicola (a dispetto della palma a Cannes) è ben lontana dall’essere una delle migliori del regista. Il ritmo non è dei migliori, non assistiamo di certo a un cinema di ‘grandi rivelazioni’ e l’argomento rischia sempre di scadere nel retorico, ma in fondo la vita è questo: un insieme di piccoli eventi che sono sempre pronti a trascinarci in basso.
Un Padre Una Figlia è una storia delicata su quella generosità che porta a scendere a compromessi con i propri ideali e su come proprio tale generosità venga il più delle volte usata come pretesto per nascondere il nostro fondamentale egoismo. Eppure è ‘un male a fin di bene’, tanto che un perfetto sunto del film finisce per esserlo la scena finale, in cui il medico scatta una foto di gruppo agli studenti dando loro una semplice quanto eloquente indicazione: “sorridete un po’ più felici”.