Uno dei topos ricorrenti nella narrazione, cinematografica e non, è il pentimento. Quante volte abbiamo assistito a storia sull’espiazione di colpe commesse in gioventù, che accompagnano il reo per tutta una vita?
Bene, come al solito la realtà si fa carico di essere più fantasiosa dell’immaginazione, e nel caso di William Powell la colpa non è un ‘canonico’ incidente o omicidio: Powell ha dovuto portare sulle proprie spalle per una vita il peso delle più grandi stragi di massa dei tempi moderni.
American Anarchist, documentario di Charlie Siskel presentato fuori concorso a Venezia, racconta l’incredibile storia dietro The Anarchist Cookbook, un manuale pratico per addestrare all’omicidio e alla strage scritto nel 1971 da un Powell diciannovenne.
Tra chiamate alla lotta armata, apologie dell’assassinio come strumento di espressione politica e farneticazioni anarchiche, il testo riporta nel dettaglio – con ricche illustrazioni – i procedimenti per confezionare bombe, trasformare fucili in lanciagranate, posizionare trappole, condurre azioni di guerriglia e chi più ne ha più ne metta. Il vademecum perfetto per gli esaltati, tanto che una copia di questo ‘manifesto pratico del terrore’ è stata trovata nelle abitazioni dei responsabili delle più grandi stragi americane (da Columbine in poi) come nei rifugi di molti terroristi del sedicente Stato Islamico.
Come si convive con la consapevolezza di aver ispirato ideologicamente e aver guidato logisticamente la morte di decine, centinaia di innocenti?
Malissimo, verrebbe da dire. Eppure Powell, intervistato per quasi tutta la durata della pellicola, sembra un personaggio indecifrabile.
Lasciata presto alle spalle la parentesi anarchico-insurrezionalista, che lui stesso attribuisce a una (inquietante e irresponsabile) naïveté adolescenziale senza però mostrare particolare afflizione per le conseguenze di quel manuale e non senza rivendicare posizioni aspramente antisistemiche, l’uomo ha intrapreso un’improbabile carriera nel campo della formazione primaria, diventando insegnate ed esperto di intelligenza emotiva e lavorando, principalmente in numerose località del terzo mondo, per promuovere la cultura dell’integrazione e dell’assistenza dei bambini con deficit psicologici o di apprendimento.
Incalzato da un Siskel tanto insistente quanto non particolarmente efficace, l’ex anarchico è perennemente sulla difensiva e, mentre snocciola qualche modesta e fuggevole ammissione di colpa intervallata con distinguo autoapologetici, ha una prossemica e una mimica espressiva che sembrano indicare semplicemente una malcelata intolleranza verso le tesi dell’intervistatore.
Il documentario, pur partendo da un soggetto di grandissimo interesse, ha una realizzazione tecnica a dir poco insoddisfacente. Per la maggior parte del tempo sembra una banalissima e ripetitiva intervista a camera fissa, di quelle che potrebbe fare chiunque, e che non riesce a scalfire nemmeno la superficie della questione. Un montaggio di certo non ispirato propone qualche immagine di repertorio; ma non c’è una chiave di lettura, non c’è una dinamica, non c’è un approfondimento che possa dirsi tale. Uno spunto interessante arriva quando, costretto con forzature funamboliche, Powell arriva a paragonare lo stato mentale dei giorni passati da ragazzo a scrivere il libro a quello dei baby-killer prima di macchiarsi di esecuzioni di massa nelle scuole americane. Ma, ancora una volta, nonostante l’accompagnamento musicale retorico, banale e soporiferamente strappalacrime, non si toccano le corde emotive dello spettatore.
Degna di nota la conclusione del documentario: quando Powell parla del proprio secondo libro incentrato sulla figura per lui interessantissima di Gavrilo Princip, “un giovanissimo rivoluzionario che, con le conseguenze di una sua stupidissima azione, ha messo a ferro e fuoco il mondo” causando la Seconda Guerra Mondiale, Siskel gli chiede se la descrizione non potrebbe perfettamente applicarsi a lui stesso. Tra l’espressione di sorpresa e bofonchiamenti disordinati, il finale ad effetto è assicurato: Powell non si era mai reso conto del parallelismo.
Venezia 73: la recensione in anteprima di American Anarchist
Nel 1971 un diciannovenne pubblicò un 'manuale del bombarolo' tutt'oggi alla base delle sparatorie di massa in America come degli attacchi Isis. Eccone la storia.