Our War, il docufilm di Bruno Chiaravallotti, Claudio Jampaglia e Benedetta Argentieri ci porta dentro il mondo dei foreign fighters che combattono dall’altra parte, quella dei curdi che si oppongono con le armi all’avanzata dell’Isis. Dalla parte dei “buoni”, verrebbe da dire. E invece no: i tre autori italiani non si schierano, nel film non ci sono giudizi morali e il loro è lo sguardo di chi vuole indagare, capire, descrivere, documentare. Un approccio, questo, che fa di Our War una pellicola interessante, avvincente, fuori dagli stereotipi propagandistici di qualsiasi fazione in campo e girata un po’ sotto forma di documentario nel senso classico del termine, un po’ come reportage di guerra e un po’ come un “videogioco” dove la telecamera permette allo spettatore di seguire i movimenti del soldato che stana il nemico attraverso il primo piano del fucile spianato. Ma il pubblico sa che quello è tutt’altro che un videogioco e le scene fanno capire bene lo stato d’animo, l’ansia, la paura e la concentrazione che pervadono la persona sconosciuta che imbraccia quell’arma.
Our War è stato proiettato fuori concorso alla 73a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. I protagonisti sono un ex marine del North Carolina di trenta anni, Joshua Bell, uno svedese di origini curdo-irachene di 28 anni, Rafael Kardari, e il ventisettenne italiano Karim Franceschi, residente a Senigallia. I tre ragazzi si sono uniti ai combattenti curdi del Ypg (Unità di protezione popolare) in guerra con Daesh. I teatri di guerra dove combattono sono nella regione dello Java, a nord.est della Siria e a Kobane. Ognuno di loro ha una motivazione, Joshua perché è “matto come un cavallo” e nei marines non sopportava le regole delle guerre convenzionali, Rafael perché è rimasto scioccato da un post su Facebook dove l’Isis fucilava dei bambini, mentre la molla di Karim deriva dal suo credo politico socialista e per lui “la violenza è nobile” se esercitata in una guerra partigiana per conquistare la libertà. Tutti, a modo loro, hanno grandi ideali e si sentono cucito addosso il vestito buono di chi sta facendo qualcosa di grande per sé stessi, per i figli, per le loro famiglie, per il mondo. L’approccio del ragazzo americano è più tecnico e “professionale” perché il retaggio della formazione nei marines continua ad avere un peso, il ventottenne di Stoccolma sente il richiamo delle origini ma ha piena consapevolezza di ciò che sta facendo e il ricordo del primo nemico ucciso ancora non lo ha metabolizzato e chissà se ci riuscirà mai, Karim invece combatte una guerra “politica” tutta sua.
Bruno Chiaravallotti, Claudio Jampaglia e Benedetta Argentieri ci fanno conoscere un mondo che la grande stampa spesso ignora. Lo fanno portandoci direttamente sul campo di battaglia dove nascono i più grandi rapporti di amicizia e dove si consumano le più grandi tragedie. Un terreno dove a un diciottenne curdo sono venuti i capelli brizzolati dopo tre giorni e tre notti di attacchi consecutivi da parte dell’Isis, dove non c’è spazio per chi non è deciso fino in fondo a rischiare la vita e dove bisogna fare i conti anche con chi si presenta solo per un selfie da esibire in Patria, o magari per drogarsi senza controllo e senza controlli oppure per corteggiare le volontarie curde e scriverci un libro. Ma quello della guerra è anche il terreno delle grandi contraddizioni: quelle dei rapporti diplomatici tra Stati che sembrano collaborativi ma non lo sono, e quelle dei combattenti curdi secondo i quali “Il capitalismo è cattivo ma abbiamo bisogno dei bombardamenti americani” (pagati dal capitalismo).
Our War non ci dice se i vari Joshua, Rafael e Karim siano davvero eroi, ma non spetta a loro stabilirlo. Quello che spettava a loro, e lo hanno fatto benissimo, è approfondire e documentare uno spaccato della grande questione posta dall’auto proclamazione del cosiddetto Stato islamico da parte di Daesh. Sì, lo hanno fatto benissimo fino alla conclusione del film, dove un combattente curdo canta “Madre, io sono come il fuoco e di fronte al colore nero non muoio”, e poi con i titoli di coda che scorrono su una bella canzone di Eugenio Finardi, scritta con Vittorio Cosma, ex Premiata Forneria Marconi che ora collabora con Elio e le Storie Tese.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Our War
Un bellissimo documentario italiano presentato fuori concorso racconta i foreign fighters 'buoni' che vanno a combattere con i Curdi contro l'Isis.