Assalto Al Cielo, una produzione Istituto Luce Cinecittà per la regia dell’ottimo Francesco Munzi (Samir, Il Resto della Notte, Anime Nere) è stato presentato in questi giorni fuori concorso alla 73a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
La pellicola, come riassume un titolo ben più accattivante del reale contenuto, è un documentario di 72 minuti che, con la sola riproposizione di un montaggio di materiale d’archivio, si propone di raccontare la parabola dei movimenti della contestazione che ebbe luogo in Italia nel decennio ’67-’77.
La carne al fuoco è tanta, tantissima, e pensare di poter raccontare un decennio così denso in poco più di un’ora è pura utopia. Quello che riesce a confezionare Munzi non è un racconto ma un insieme di suggestioni, peraltro piuttosto sfuggenti e scollegate tra loro, che richiedono una pregressa conoscenza molto approfondita delle vicende storiche di quegli anni. Lo spettatore che fosse sprovvisto di tali strumenti non potrebbe che vedere nel lavoro un trailer di un’ipotetica serie di documentari di reale approfondimento.
Il materiale d’archivio è oro puro, ma il flusso frenetico con cui si sussegue ne rende impossibile un reale godimento. Inoltre l’assenza delle più indispensabili indicazioni in sottopancia, non permette di avere idea di quale sia il ruolo di alcuni degli interlocutori.
Il primo atto (di tre) di Assalto al Cielo non può non stimolare una riflessione paradossale sulla sinistra italiana: i sessantottini sullo schermo criticano sì il mito del benessere consumista, ma si esprimono in modo decisamente contrario alla democrazia rappresentativa, al sistema dell’istruzione che viene visto come un’arma di indottrinamento, rivendicano lo strumento politico della violenza e celebrano la liberazione sessuale. Il perfetto opposto della sinistra democratica, sostenitrice dell’istruzione pubblica, pacifista e un po’ bacchettona che avremmo conosciuto anni più tardi.
Non tutti i discorsi però sembrano anacronistici: le argomentazioni con cui la rappresentanza operaia si confronta con gli studenti risuonano molto più attuali: diritti dei lavoratori, innalzamento dei salari, necessità di nuovi contratti, e consolidamento dei sistemi della sanità e dell’istruzione.
Diversa e ben più inquietante la parte centrale del documentario, in cui alla retorica di ragazzetti un po’ confusi subentra il fragore delle bombe. Mentre comunisti, fascisti e Stato si accusano reciprocamente, le contraddizioni interne a una società in profondo cambiamento esplodono al ritmo delle stragi di stato e degli attentati delle BR. L’Italia che vediamo tratteggiata sullo schermo ci fa tremare le vene ai polsi e ci ricorda quanto possa essere fragile una giovane democrazia.
Non facciamo però in tempo a riflettere sullo stragismo che la pellicola è già giunta al suo terzo e ultimo capitolo, e al sudore freddo subentrano delle amare risate. I giovani teorici della rivoluzione sono ora mele cadute molto lontano dall’albero, e la veemenza con cui i capipopolo celebrano le droghe come strumento di sussunzione e superamento del comunismo, la ‘danza nudi’ come arma di rivolta e l’esproprio proletario dei gelati al concerto come leva di giustizia sociale, non può che suscitare un’ilarità liberatoria che coinvolge tutta la sala.
A conti fatti Assalto Al Cielo è una minuscola pillola della storia di casa nostra, un filo che collega rapidissimamente e semplicisticamente tre momenti fondamentali del nostro passato e che però non sembra regalare nulla più di una qualsiasi puntata di Blob fatta con spezzoni dell’Istituto Luce.
Al titolo ambizioso non corrisponde un’opera altrettanto temeraria. Peccato, perché da Munzi ci aspettiamo moltissimo.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Assalto Al Cielo
Dalle lotte studentesche ai fricchettoni, passando per lo stragismo, il documentario di Munzi presentato fuori concorso accenna a tre momenti della storia italiana.