Alcune opere, probabilmente ostiche per il grande pubblico, faticano ad avere una buona distribuzione tradizionale ma riescono a brillare in un contesto come quello dei festival. Austerlitz, il documentario di Sergei Loznitsa presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e che uscirà il 25 gennaio in una manciata di copie, fa parte di questa particolarissima categoria, raccontando in modo inedito il campo di concentramento di Auschwitz.
Austerlitz è una panoramica su un luogo divenuto ormai meta turistica, invasa ogni giorno da migliaia di persone di tutto il mondo.
Il film, girato con sole inquadrature fisse, mostra la giornata tipo dei turisti che popolano il campo di concentramento più famoso del mondo, accompagnato dalle voci delle guide che spiegano gli orrori perpetrati dai nazisti in quel tragico capitolo della storia umana.
La pellicola ha uno sguardo clinico nei confronti dell’indifferenza dei visitatori davanti a questo teatro degli orrori.
L’approccio con Austerlitz non è facile: parliamo di un film in bianco e nero di un’ora e mezza dove le inquadrature, che riprendono il viavai delle persone, durano in media 5 minuti e in cui solo dopo mezz’ora iniziamo ritroviamo il parlato, che comunque sarà a dir poco infrequente durante la pellicola. Un lavoro così confezionato offre un’esperienza che può irritare la maggioranza degli spettatori, e molti, quando guarderanno questo documentario, potrebbero obiettare che Austerlitz abbia delle velleità artistiche furbe e troppo pretenziose. Eppure, se guardiamo oltre la superficie, Sergei Loznitsa ha qualcosa di importante da comunicare. Nel corso del film infatti osserviamo come molti turisti, mentre le guide raccontano storie tremende su come i detenuti venissero trattati all’interno del campo, rimangano sostanzialmente insensibili, girando il campo come se fossero a Disneyland (compresi selfie sorridenti vicino la scritta “Arbeit macht frei” o davanti a un forno crematorio). La freddezza dello sguardo della telecamera, cinica e distaccata, riesce nello scopo di infastidire lo spettatore, sdegnato di trovarsi davanti a così poco rispetto di fronte al luogo simbolo dell’Olocausto.
Opere provocatorie come questa sono indispensabili, perché c’è assolutamente bisogno di sensibilizzare il pubblico, soprattutto quello più giovane, su un argomento che, mano a mano che passano gli anni, lascia sempre più indifferente una società anestetizzata (nonostante tutte le Giornate della Memoria).