(La Writers Guild Italia nasce con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione “Scritto Da”, sotto l’egida di “Written By”, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione.)
Anche quest’anno il concorso veneziano ha presentato un documentario. Si tratta di Spira Mirabilis, opera di due registi già noti ai più importanti festival internazionali, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, che del loro film sono anche sceneggiatori… se si può usare questa parola. Sì, perché in questo caso, come si evince dall’intervista a due voci, la scrittura viene in parte a coincidere con il momento stesso delle riprese e del montaggio.
“Spira Mirabilis” è articolato su 5 racconti, ognuno legato a uno degli elementi aristotelici: uno scienziato giapponese che studia la medusa capace di rigenerarsi (acqua), le statue del Duomo di Milano (terra), due musicisti che ottengono suoni affascinanti percuotendo lastre di metallo (aria), una piccola comunità di Indiani d’America (fuoco), un’attrice che recita L’immortale di Borges (etere). Cosa unisce queste 5 storie?
Massimo: innanzi tutto ti diciamo che in fase di montaggio, ma era così già in fase di scrittura, gli elementi sono tra di loro intrecciati; quindi nel film non c’è prima l’acqua, la terra, poi l’etere, ma gli elementi viaggiano lungo la durata del film intrecciandosi tra loro. La cosa che li unisce è sicuramente la ricerca, che noi abbiamo declinato avendo un supporto teorico che è quello degli elementi della natura; e l’aspirazione, la tensione che ha l’uomo verso l’immortalità. Questa tensione ha nell’episodio di Shin Kubota e della medusa una sua evidenza, in quanto l’esserino, Turropsis nutricula, potenzialmente, realmente si rigenera, e in qualche modo è immortale quando non viene mangiato dagli altri pesci. Negli altri movimenti del film il tema è sicuramente più simbolico, però è sempre molto presente; ma la cosa che accumuna i personaggi è proprio questa ricerca attraverso il fare, questo non accontentarsi mai, questo continuo lavorio che essi fanno per rimettere in gioco il proprio lavoro, i propri pensieri, in modi diversi a seconda degli elementi.
Questo aspetto del fare incessantemente, legato al tema dell’immortalità, dà l’idea che ci si riferisca a qualcosa di utopistico, che si parli di persone che lavorano a qualcosa che non è raggiungibile…
Martina: è chiaro che la sfida massima è il tentativo di rigenerarsi, di tramandare, di ricostruire, insomma c’è un’aspirazione a qualche cosa di più alto, però non in una visione utopistica, nel senso di un’immortalità irraggiungibile che resta tale per tutto il film. È un inno alla ricerca che ci rende migliori, che ci fa tentare di essere migliori di quello che siamo. Per cui non c’è eroismo, ma c’è una pratica quotidiana volta a migliorare se stessi e a migliorare anche il mondo, perché gli uomini nella ricerca sono capaci anche di grandi cose.
Massimo: c’era sicuramente una cosa che ha spinto me e Martina verso questo film. I nostri film iniziano dove finisce il nostro precedente lavoro. “Materia oscura” era un film sulla stupidità degli uomini, ed era anche un film molto triste, sul più grande poligono sperimentale d’Europa, un luogo (NdR: Salto di Quirra, provincia di Nuoro) dove oltre a sperimentare armi di distruzione di massa, anche tante persone che vi abitano intorno si sono ammalate e sono morte per le attività del poligono. Uomini, animali, natura… siamo partiti da lì, e sicuramente questi sono tempi disperati, non sono tempi in cui poter essere gioiosi; ma in questa disperazione che effettivamente qualsiasi mente lucida vede – e se non la vede ha dei problemi – noi abbiamo provato a ragionare invece su alcuni elementi di forza, che abbiamo individuato in queste 4-5 storie, in cui si va dall’assenza di persone al singolo, alla coppia, alla comunità. Infatti nella storia del Duomo l’essere umano non c’è, c’è solo una moltitudine di mani al lavoro; nel caso di Shin Kubota c’è un essere umano alle prese con questa medusa immortale; nel caso di Felix Rohner e Sabina che inventano il loro strumento, sono una coppia; nel caso dei Lakota c’è appunto questa piccola comunità che fa dei gesti di resistenza. Pensiamo che forse nell’800, in un’epoca di grande progresso, o almeno così si prevedeva, lo sguardo nichilista era un elemento di rottura, era un’avanguardia, mentre forse attualmente il nichilismo è ciò che tutto pervade, e gli elementi di rottura vanno cercati altrove. Noi crediamo negli sguardi critici, crediamo negli sguardi di rottura e non negli sguardi omologati e omologanti.
Martina: comunque non è un film su un’utopia, è un film sulla pratica quotidiana. È un film dove le persone lavorano molto, non per qualcosa che non è possibile, ma per qualcosa che è alla loro portata e richiede di essere continuamente migliorato. L’immortalità del film intanto è un’accettazione della morte, di sicuro, ma c’è anche la rinascita vera della medusa, c’è la riproduzione delle statue, c’è la reinterpretazione delle tradizioni nell’episodio dei musicisti, c’è l’Immortale di Borges e c’è la resistenza dei Lakota. Vari sguardi e varie reinterpretazioni dell’immortalità.
Colpisce molto la descrizione che avete fatto della fase ideativa di Spira Mirabilis. Si direbbe che si sia trattato di una sorta di viaggio, nel quale un argomento ha in qualche modo richiesto e trainato il successivo. È una sensazione corretta?
Massimo: assolutamente sì. Per noi è un metodo, è il modo in cui noi ci approcciamo sia in fase di scrittura che di ripresa e di montaggio, che per noi sono sempre una fase di scrittura, perché noi scriviamo il film e poi lo giriamo e lo montiamo simultaneamente. Dopo un po’ non avvertiamo più la necessità che questa scrittura venga tradotta su pagina, ma diventa una scrittura orale, un ping pong continuo che facciamo tra di noi, io e Martina, guardando le immagini, iniziando a montare o a pensare al montaggio del film.
Quindi quanta parte della costruzione del racconto di Spira mirabilis è nata in montaggio?
Massimo: Mah, in realtà in montaggio niente, nel senso che la costruzione del film per me non nasce in montaggio. Il montaggio non è che una delle tre fasi di creazione del progetto, con la scrittura e la ripresa. Forse alla scrittura vera e propria è esagerato attribuire il peso di un terzo del lavoro, forse se lo merita solo perché le prime intuizioni sono scritte. Ma sia la fase di ripresa che la fase di montaggio per noi sono fasi di scrittura. Già in ripresa pensiamo al montaggio del film. Questo avviene perché tecnicamente non è che prima giriamo il film e poi lo montiamo: noi dopo circa un paio di mesi di riprese – in questo caso le riprese son durate tre anni, e spesso durano almeno un anno – già iniziamo a premontare il film. Non sono dei momenti separati: anche in fase ideativa sono costruiti insieme.
A questo punto viene da chiedersi se sia mai esistita una fase scritta del film. E se sì, di che tipo, e che funzione ha svolto man mano che si andava avanti con le riprese?
Martina: sì, è esistita una fase scritta del film. È una scrittura funzionale, che serve a spiegare il progetto a dei possibili finanziatori, diciamo la verità. Una fase di scrittura, come dire, poetica, è esistita meno…
Massimo: è un soggetto, se vuoi sapere esattamente che cos’è, quella cosa che noi facciamo è un soggetto…
Martina: …un lungo trattamento. Comunque questo film è stato presentato al Media, e per il Media noi abbiamo scritto le storie di tutti, e abbiamo cercato di spiegare… c’è da dire che per questo film “spiegare” esattamente come poi è diventato è stato molto complicato, perché è un film-viaggio. Descrivere esattamente le tappe del viaggio prima di averlo veramente cominciato era una cosa complicata, per cui è stato un trattamento che descriveva più i personaggi e le situazioni che volevamo andare a raccontare…
Massimo: la cosa buffa è capire quanto il soggetto effettivamente senza il film faccia anche fatica a esistere, specie per un film del genere. Non ti nascondiamo che compreso il Media, che non ci ha approvato il finanziamento – era uno sviluppo per la scrittura – anche altre persone non credevano, non sentivano il progetto, ci prendevano per matti o non ne capivano la direzione nonostante noi abbiamo sempre detto “è chiaro che questo soggetto non esiste senza i nostri altri film del passato”… l’unica persona che ha sempre creduto in questo progetto è Paola Malanga di Rai Cinema, che ne ha intuito il potenziale proprio perché lei conosce perfettamente il nostro lavoro, e sapeva la direzione che questo progetto poteva prendere.
Martina: il modo in cui siamo riusciti a finanziare i progetti è sempre stato grazie a persone che hanno visto i nostri film precedenti e si sono fidati di quello sguardo.
Massimo: ci rendiamo conto che questo progetto è estremamente ambizioso, per vari motivi. Un po’ perché è un “film-mondo”, girato in quattro paesi diversi, ed effettivamente credere in un nostro sguardo era una cosa fondamentale per aderire al progetto. Anche con Marina Vlady, quando abbiamo provato a convincerla a entrare nel film, la prima cosa che abbiamo fatto, oltre a mandarle il soggetto, è stato mandarle i nostri due film precedenti, e lei ci ha detto subito sì, perché dopo averli visti ci ha detto “io ci sto, mi piace il vostro lavoro, quindi non ho dubbi”.
Le riprese del film sono durate molto a lungo, e si sono svolte in tre continenti diversi: non dev’essere stato facile montarlo finanziariamente. Potreste darmi un’idea del costo del film?
Martina: mah… no! Non perché non vogliamo… (ride) ma perché i preventivi non valutano molte cose, per cui c’è sempre una grande disparità tra quanto costa realmente il film e quanti sono i soldi con cui lo realizziamo. Noi abbiamo una telecamera di proprietà, abbiamo un sistema di montaggio, ed è chiaro che queste cose hanno un valore: noi non paghiamo noi stessi come studio di montaggio o come noleggio di telecamera, per cui sarebbe un po’ fuorviante… comunque non è un film che è costato tanto. Siamo sempre nell’ordine di poche centinaia, ecco… (ridono) poche poche…
Certo, avete dei costi ammortizzati in partenza e questo vi permette di avere una libertà che altrimenti sarebbe impossibile…
Massimo: Sarebbe molto più costoso. Però sono costi che produzioni straniere magari riescono a permettersi. Noi comunque alla fine abbiamo questo supporto prezioso di Rai Cinema, e siamo intorno ai 200.000 euro, in quell’ordine lì; per quanto un film del genere, se uno dovesse fare un preventivo realistico, almeno 7-800.000 euro dovrebbe costare, per i viaggi, gli anni di prese… credo, eh.
Martina: però questa volta siamo riusciti a montare una co-produzione, con la Svizzera. E questa è stata per noi un’esperienza nuova. Limitata perché essendo noi i produttori di maggioranza, e loro quelli di minoranza, i loro soldi dovevamo spenderli in Svizzera…
Massimo: non abbiamo avuto gli svantaggi delle co-produzioni, perché abbiamo continuato a lavorare da soli, come abbiamo sempre fatto, l’unico esterno è stato il nostro montatore del suono e musicista che era un italiano e tale è rimasto, quello che abbiamo fatto all’estero sono state le copie, gli archivi li hanno pagati loro, abbiamo fatto la finalizzazione del suono lì…
Martina: …e poi c’era l’episodio dei musicisti girato in Svizzera.
Massimo: questo permetterà al film di uscire in sala in Svizzera e poi comunque avere dei coproduttori vuol dire avere anche altre persone che vogliono del bene al film. E questo dà maggiore forza e visibilità al film. Poi abbiamo anche The Match Factory, che è il nostro venditore internazionale… sono delle persone che si prendono cura del film al di là di noi, perché a noi è sempre mancata la terza fase, quella della distribuzione. C’è I Wonder in Italia che lo distribuisce, insomma io e Martina siamo un po’ affrancati da questa fase…
Martina: …che poi è quella in cui siamo più deboli, no?
Una domanda che spesso facciamo nelle nostre interviste, alla quale potete anche non rispondere: riuscite a vivere della vostra professione, come autori dei vostri film?
Massimo: sì, facendo dei debiti sì… (ridono)
Martina: indebitandoci…
Massimo: non solo riusciamo a vivere, per noi è progettuale. Quando abbiamo iniziato a lavorare dieci anni fa ci siamo detti “questo è il mestiere che vogliamo fare. Per farlo come vogliamo noi dobbiamo avere una camera, un cavalletto, un sistema di montaggio”. Bisogna avere questa indipendenza, e difenderla. E da dieci anni è quello che stiamo facendo.
Martina: non si diventa ricchi, eh…
Massimo: ma a noi basta poco…
C’è una grande gratificazione nel riuscire a fare quello che si vuole…
Martina: esatto, è molto gratificante fare quello che uno vuole. È da privilegiati, non nel senso di qualcosa di cui uno si vanta. Per noi è una questione molto chiara, siamo coscienti di essere delle persone fortunate perché la maggior parte delle persone non riesce a fare quello che vuole.
Voi avete avuto entrambi un passato fortemente legato alla scrittura tradizionale. Massimo è stato sceneggiatore per altri e ha lavorato per la radio, Martina ha lavorato in programmi televisivi. Eppure in “Materia oscura”, il vostro film precedente, avevate scelto di eliminare quasi completamente la parola dal racconto. Come mai? È una scelta che avete fatto anche in Spira Mirabilis (anche se la sezione con Marina Vlady va certamente in una direzione diversa)?
Massimo: già ne “Il Castello” (NdR: film del 2011 ambientato nell’aeroporto di Malpensa) la parola andava sparendo nel corso del film: iniziava con la sequenza degli interrogatori per poi sparire, e riapparire un pochino nel finale. In “Materia oscura” progettualmente l’abbiamo eliminata per intero, tranne che per una voce radiofonica, per alcune parole… è una ricerca che abbiamo fatto. Questa ricerca in Materia oscura a nostro avviso si è radicalizzata al punto in cui abbiamo avvertito la possibilità di far ritornare la parola nei nostri film. In Spira Mirabilis torna in due forme: attraverso appunto Marina Vlady e L’Immortale di Borges e in altre brevi apparizioni. Comunque è un film tendenzialmente con poche parole. Sono film per i quali abbiamo trovato questo modo e questa forma: non abbiamo nulla contro la parola, però insomma per anni abbiamo avvertito la necessità di fare questa ricerca e di raccontare attraverso le immagini e non attraverso la parola.
Martina: in Materia oscura questa eliminazione della parola era anche un po’ dovuta alla sfida del progetto, perché in un film in cui il tema è così grande dal punto di vista giornalistico, l’idea di far raccontare le immagini da sole era la sfida: un anti-reportage per eccellenza.
Massimo: per noi questa sfida è iniziata dopo aver fatto “Promessi sposi” e “Grandi speranze”, due film pieni di parole, il primo e il secondo. Abbiamo avvertito la necessità di purificare il film dalla parola e di cercare in altre direzioni, perché chiaramente decidere di eliminare la parola dal film non è una cosa che abbiamo fatto in montaggio, è una cosa che abbiamo fatto in fase di pensiero e abbiamo seguito in fase di ripresa, perché impone di filmare in un altro modo. In Spira Mirabilis già nel progetto avevamo deciso di far ritornare la parola, era già nel progetto L’Immortale…
Martina: comunque in Spira Mirabilis ci sono delle parti molto parlate e delle parti molto silenziose: non c’è una media… (ridono) o si parla molto, o non si parla…
Massimo: però le parole che ci sono, sono parole importanti, parole dense…
Martina: …sono parole necessarie, ecco possiamo dire così. Non ci sono parole in più. Queste persone nella loro ricerca parlano poco, e quando parlano dicono parole necessarie.
Come funziona il vostro lavoro di coppia? Avete dei ruoli definiti, vi dividete i compiti, oppure fate sempre tutto insieme?
Massimo: ci dividiamo i compiti ma facciamo tendenzialmente insieme, nel senso che scriviamo insieme, poi in fase di ripresa io filmo e Martina prende il suono, e poi montiamo insieme. L’unica divisione è in fase di ripresa. Anche le interviste facciamo insieme ed è casuale che risponda prima una o l’altro. In questo ci sentiamo di essere un’unica voce.
Tra pochi mesi dovrebbe essere votata in Parlamento la nuova legge cinema, secondo la quale la parte più rilevante dei finanziamenti di sostegno alla produzione – circa l’80% – andrà ridistribuita tra coloro che hanno incassato di più nel corso dell’anno precedente. Cosa ne pensate?
(scoppiano a ridere) Martina: per eliminare finalmente tutte le persone indipendenti!
Massimo: diciamo che ci sembra una grande stupidaggine, una legge così immaginiamo che l’abbia fatta Cattleya… Noi non abbiamo mai chiesto i soldi al Ministero, non li abbiamo mai chiesti perché non avevamo nemmeno mai capito la vecchia legge. Detta così ci sembra molto ingiusta, ma ci sembra perfettamente in linea con questa demenza che circola nel paese… cioè non ci stupisce.
Martina: anche per il multisala è successa la stessa cosa, all’inizio le multisala dovevano comunque lasciare una sala per il cinema meno commerciale, e poi alla fine in realtà la programmazione fa girare sempre gli stessi cinque film, i film più particolari devi andare a cercarteli col lanternino… è molto in linea con i tempi.
Massimo: se la suonano e se la cantano. Questi incassano: e va bene, hanno la forza di uscire con 200 copie, li sostengono con campagne pubblicitarie di milioni di euro, per forza poi incassano. Noi siamo consapevoli di non fare film che possono incassare come 007, però siamo abbastanza convinti che noi, come anche altri autori, potremmo avere molta più visibilità. Però se su 2000 sale, 1500 proiettano gli stessi film…
Martina: comunque è una legge poco lungimirante, distruggere le voci indipendenti oppure le voci critiche è poco lungimirante.
Massimo: è in linea con tutto il resto, non è che il mondo giri diversamente dal mondo della cultura in generale o dal mondo del sociale, purtroppo è in linea con chi è più ricco vuole continuare a essere sempre più ricco. Questo è il problema di questo capitalismo che ormai sta distruggendo il mondo. Forse prima o poi gli uomini se ne accorgeranno…
Martina: ecco, guarda: Spira Mirabilis è proprio un inno all’artigianato, all’indipendenza, esattamente a tutto ciò che è diverso da questi accentramenti di potere.
Una domanda sulla Siae. Lo Stato italiano, pur accogliendo la normativa europea che permette agli autori di scegliere una collecting di loro gradimento, ha deciso di non modificare la condizione di monopolio della Siae. Potrebbe però esserci una riforma interna della Siae stessa. In vista di questa, voi che tipo di gestione vorreste per i vostri diritti d’autore? In altre parole, c’è qualcosa che cambiereste della gestione attuale?
Martina: ma noi non ce li abbiamo i diritti d’autore… arrivano al nostro musicista ma non a noi non arrivano i diritti d’autore.
Sarà perché non siete iscritti. Informatevi.
Massimo: anni fa mi sono iscritto alla Siae perché avevo scritto la sceneggiatura di Angela, di Roberta Torre, e mi arrivarono due soldi. Però su questa domanda siamo piuttosto ignoranti…
Vi ha più spaventato o entusiasmato dall’idea di essere in concorso a Venezia?
Martina: noi eravamo degli UFO, a Venezia! (ridono)
Massimo: no, guarda, siamo contenti perché abbiamo capito che Venezia dà al film una visibilità in Italia che noi non abbiamo mai avuto, nonostante i precedenti film siano stati a Berlino, Locarno, Toronto, in Corea… poi è un festival storico…
Martina: …l’attenzione che viene riservata a Spira Mirabilis perché è a Venezia è un’attenzione che non avevamo mai avuto. Questo non può che farci piacere. Siamo molto felici anche di essere stati in concorso. Però è chiaro che in questa situazione eravamo un po’ degli UFO…
Massimo: però eravamo sereni. Non abbiamo veramente nemmeno idea di cosa ci aspettasse…
(intervista a cura di Massimo Martella)