Il nuovo film di Fraçois Ozon arriva il 22 settembre nelle sale italiane grazie ad AcademyTwo, ma noi che abbiamo già avuto modo di vederlo vi possiamo anticipare che la pellicola è di quelle da non perdere, e vi invitiamo a non leggere nient’altro oltre a questa recensione, a tenervi lontani dai trailer e a recarvi in sala per immergervi in una storia che offre più di quanto non sembri promettere.
Frantz è senza dubbio uno dei migliori lavori presentati in concorso al Festival di Venezia.
La storia è ambientata nel 1919, in una Germania che si lecca le ferite dopo il primo conflitto mondiale, e prende le mosse dell’incontro casuale della giovane vedova Anna (la meravigliosa Paula Beer, insignita a Venezia del Premio Mastroianni) con uno sconosciuto francese di nome Antoine (un misuratamente indecifrabile Pierre Niney), che lei vede recarsi inspiegabilmente a piangere sulla tomba del defunto marito Frantz.
Ozon non perde tempo e lascia che i primi eventi si susseguano con una certa rapidità, senza fornire da subito un background ai comprimari e senza però che la scelta crei alcun problema all’efficacia della narrazione. Nonostante la cornice storica d’epoca e nonostante il bianco e nero della fotografia di Pascal Marti, che nei momenti del ricordo si trasforma in un colore desaturato in modo – alla fine – apprezzabile ma un po’ troppo invasivo e forzato, è evidente sin da subito come il cinema del regista francese non rinunci alla propria modernità: lo spettatore viene infatti spinto a forza nel bel mezzo di un mistero solo apparentemente trascurabile, che però in realtà è tanto ossessivo da spalancare le porte a ogni possibile eventualità e da diventare il motore di tutta la prima parte della pellicola.
Chi è Antoine? Chi è quel ragazzo dai modi gentili e perché piange per Frantz?
Immedesimandovi nella vedova e nei genitori di Frantz, nel ‘primo tempo’ vi ritroverete a soppesare in modo ugualmente convincente almeno tre o quattro ipotesi, a conferma di quanto la costruzione della macchina narrativa vada proprio nella direzione voluta da Ozon, qui anche sceneggiatore. Sarà solo però allo svelamento dell’arcano, quando verrete sfiorati dall’impressione che il film abbia già giocato le sue carte migliori, che il racconto cambierà direzione e approfondirà con una sorprendente complessità i temi dell’identità, dell’amore, della rabbia e della perdita. E così come già fatto col mistero, Ozon tratterà i temi dell’amore e della guerra dimostrandosi sempre capace di capire il momento giusto in cui fermarsi per non scadere nella retorica.
Tematiche che altrove sarebbero perfette per il più indigeribile dei melodrammi, in Frantz diventano tasselli di un puzzle ben più ambizioso.
Una volta che avrete visto il film, provate a immaginare che forma avrebbe potuto prendere la storia se a trattarla fosse stato un regista come Derek Cianfrance (stiamo ancora provando a dimenticare il suo stucchevole Light Between The Oceans). Dio ce ne scampi e liberi! E invece la grandezza di Ozon è quella di riuscire a passare, con calma e con un elegante disordine, da un genere cinematografico all’altro raccontando temi estremi pur senza mettere mai in scena l’eccesso. Al contrario la moderazione e una seducente mestizia sono i colori con cui l’autore ritrae una gamma estremamente ampia e intensa di emozioni, e il setting si rivela uno degli elementi chiave per conferire alla storia buona parte del suo charme.
La menzogna, l’intolleranza, l’accoglienza, il cambiamento e una disperata determinazione sono gli ingredienti che fanno di Frantz una pellicola assolutamente da non perdere. E quell’unico, evidentissimo e indispensabile zoom che suggella il momento più importante del film, basterebbe a racchiudere in un’immagine la grandezza della regia di Ozon.