“Un’occasione mancata, una candidatura da masochisti”, firmato Paolo Sorrentino. Sulla candidatura italiana agli Oscar 2017, Fuocoammare di Gianfranco Rosi, giochiamo a carte scoperte e perciò diciamo subito che ha ragione il regista partenopeo, che peraltro di Statuette se ne intende.
La scelta del film italiano che il 26 febbraio prossimo gareggerà per l’Oscar nella sezione delle migliori pellicole in lingua non inglese è stata presa da una commissione composta da Nicola Borrelli (Direttore generale cinema del ministero per i Beni e le attività culturali), Tilde Corsi (produttrice), Osvaldo De Santis (distributore), Piera Detassis (giornalista), Enrico Magrelli (giornalista), Francesco Melzi D’Eril (distributore), Roberto Sessa (produttore), Paolo Sorrentino (regista), Sandro Veronesi (scrittore). Questi invece i sette film che erano in lizza: Fuocoammare di Gianfranco Rosi, Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno, Indivisibili di Edoardo De Angelis, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese, Pericle il nero di Stefano Mordini e Suburra di Stefano Sollima.
Ma andiamo con ordine e sgombriamo il campo da eventuali malintesi, perciò diciamo altrettanto chiaramente che non c’entrano nulla:
- il talento di Gianfranco Rosi;
- l’argomento trattato;
- il “format” documentaristico che, per quanto ci riguarda, ha la stessa dignità del film di finzione;
- l’eventuale possibile balletto delle “alleanze” tra amici degli amici all’interno della commissione selezionatrice e il richiamo delle produzioni più influenti. Fa parte del gioco.
Nel Cinema non è necessario essere “politicamente corretti”
Il docu-film di Gianfranco Rosi è bello, e su questo non ci piove. Ma la sensazione è che la scelta sia caduta su di lui perché porta sul grande schermo un tema importante, delicato, controverso, complicato come quello degli sbarchi a Lampedusa. Un dramma enorme che fa emergere il meglio e il peggio dell’umanità. Un problema che si inserisce in un momento dove la parola accoglienza probabilmente non ha più lo stesso significato che aveva per i cittadini europei venti anni fa. Il merito di Fuocoammare è quello di dare il suo contributo a risvegliare le coscienze e, lo fa egregiamente. La domanda è: può bastare questo per una candidatura all’Oscar? Dietro la scelta non si nasconde forse, almeno dal punto di vista cinematografico, una strizzata d’occhio al rilancio del “politicamente corretto”? E ancora: quanto ha influito la vittoria alla Berlinale e l’investitura della presidente di giuria Meryl Streep? Sia ben chiaro: il cinema sociale e di denuncia è sempre il benvenuto, ha avuto una funzione importante e c’è da augurarsi che la continui ad avere, ma ciò che è incomprensibile, e questo sì fa male al cinema, è il grande equivoco di chi ritiene che un film per essere degno di un riconoscimento debba necessariamente toccare corde uniformi ed essere sì di rottura ma fino a un certo punto. Fino al punto in cui non si indaga, ad esempio, sulle grandi ipocrisie dell’Occidente che delega il “lavoro sporco” ad altri. Ma questo è un altro discorso, qui siamo nella Settima Arte e nessuno pretendeva da Rosi di produrre un reportage o un’inchiesta giornalistica. Restiamo dunque nell’ambito e constatiamo che a Venezia la Settima Arte ha premiato con il Leone d’Oro le quattro lunghissime ore del filippino Lav Diaz con un film che è, ci si lasci passare il concetto, una vera sfida al linguaggio cinematografico contemporaneo, e subito dopo ha scelto un documentario per l’Oscar; a tirar delle somme qualcosa non quadra. Rosi, che peraltro proprio a Venezia fu premiato con il suo Sacro GRA, è bravo e rispetto al suo precedente film si è anche perfezionato nella tecnica e nella cura dei personaggi (che nel documentario che vagava intorno al Grande raccordo anulare di Roma forse erano un po’ troppo “costruiti”), ma nel giudizio della commissione ha avuto probabilmente un peso tutt’altro che indifferente anche il premio assegnatogli a Berlino da Meryl Streep, magari contando su di lei come “sponda Hollywoodiana” per il 26 febbraio 2017. Legittimo.
La realtà è che è stato penalizzato il Cinema italiano
Non abbiamo mai creduto che un documentario avesse una dignità inferiore al cinema di finzione, e peraltro lo stesso Rosi aveva ed ha in parte mischiato i generi producendo lavori documentaristici dal forte odore di finzione, ma ha di nuovo ragione Paolo Sorrentino quando asserisce che Fuocoammare poteva essere candidato nella sezione dei documentari permettendo così la candidatura di un altro film italiano. Oltretutto proprio nell’anno in cui il nostro cinema ha dato significativi segni di vita e di vitalità, basta leggere la rosa dei sette papabili. Non vogliamo entrare in un’antipatica graduatoria tra i rimanenti sei, ma ognuno di loro avrebbe aumentato le chance del nostro cinema portando all’attenzione internazionale non uno ma due film. E comunque sarebbe stato un bel segnale candidare Indivisibili di Edoardo De Angelis. Un regista che già dalla sua pellicola d’esordio, Mozzarella Stories, aveva dato dimostrazione di originalità, di capacità narrative, di connotazione dei personaggi, del senso della scena e dello spazio, di saper creare atmosfere e di sapere bene dove mettere la macchina da presa. Lo ha poi confermato in parte con Perez ed ora di nuovo alla grande con questa sua terza opera, già molto apprezzata a Venezia e dal 29 settembre sul grande schermo. E lo stesso discorso potrebbe valere per molte delle altre pellicole in lizza. Si pensi ad esempio ai grandi casi commerciali del 2016: probabilmente Lo chiamavano Jeeg Robot non avrebbe colpito il pubblico Statunitense al contrario di quanto ha fatto con il nostro, ma Perfetti Sconosciuti, pur non essendo un film perfetto, avrebbe avuto tutte le carte in regola per diventare un piccolo caso anche all’estero (ma in fin dei conti dal film verrà solo un ‘piccolo’ remake con Brad Pitt, Bradley Cooper e Jennifer Lawrence). Così non è stato e amen, però gli addetti ai lavori evitino almeno i predicozzi al pubblico affinché valorizzi il cinema italiano, visto che loro per primi non lo hanno fatto, perfino quando i film lo avrebbero meritato.
Conclusioni
Una cosa ci sentiamo però di sottoscriverla, e cioè che Fuocoammare avrà la fortuna di non fare la fine di Non essere cattivo, la pellicola postuma di Claudio Caligari che lo scorso anno non superò la selezione successiva alla designazione. Il film di Rosi, al contrario, farà strada perché è un ottimo lavoro (come lo era Non essere cattivo) e soprattutto perché probabilmente ad Hollywood appaga la vena umanitaria, affievolisce i sensi di colpa e purifica la coscienza collettiva che vuole affrancarsi dalle storture della Storia. Non è per generalizzare ma il Dolby Theatre, come è noto, è sempre molto sensibile al richiamo di “temi forti”, su celluloide. In ogni caso in bocca al lupo Fuocoammare, e naturalmente… viva il lupo!