The assassin è stato selezionato come “Film della critica” da parte del sindacato dei critici cinematografici italiani, è stato presentato, in concorso, a Cannes lo scorso anno e lì ha ottenuto la palma d’oro per la miglior regia.
Distribuito da noi in pochissime copie (circa dieci), The Assassin è il prototipo del film per “cinefili”, uno di quelli apparentemente inaccessibili al pubblico comune. Ma tra le splendide ricostruzioni della Cina dell’ottavo secolo, i lunghi carrelli, la fotografia meravigliosa e il rifiuto categorico di sviluppare una trama tramite l’azione, alla lunga, ci si annoia.
Il film, infatti, è semplicemente splendido da vedere. Raramente si ha la possibilità di godere di costumi, ambienti, giardini e oggetti come in questo film. I movimenti e le azioni di ogni singolo personaggio sono tanto cerimoniose quanto lo era la vita quotidiana di una nobile dell’ottavo secolo: il bagno,per esempio,viene preparato con decine di erbe e oli diverse conservati in preziosi vasi, versato con rigore da parte delle diverse ancelle; la padrona di casa esce e viene seguita, come se fosse una processione, dalla pletora di servitori e servitrici che possiede.
La luce soffusa, i colori, le lunghissime e lente carrellate della macchina da presa rendono The assassin un film bellissimo da contemplare ma impossibile da ricevere. La trama è difficile da cogliere, così come gli intrighi e i rapporti fra personaggi sono difficili da stabilire e tenere a mente. Hsien vuole rarefare, ridurre e dividire fino all’atomo la narrazione e il proseguire della trama; non è un caso che il regista rifiuti l’azione e il movimento in favore di dialoghi lunghi e momenti quotidiani come un bambino che calcia una palla.
Tarkovsky diceva che i suoi film erano costruiti, volontariamente, con un inizio lento ,in modo che gli spettatori a cui piacevano “altri film” potessero uscire. The assassino, allora, si schiera con Tarkovsky e rifiuta ogni tipo di tecnica cinematografica contemporanea. Da contemplare, ma non da godere.