Tre anni fa il suo esordio dietro la macchina da presa con La Mafia uccide solo d’estate sorprese molti, ma ora Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, gioca a carte scoperte e con il suo nuovo In guerra per amore si trova davanti alla fatidica prova della seconda pellicola, quella cui in genere è delegata la spartizione tra veri talenti e fuochi fatui.
Un prequel a La Mafia Uccide Solo d’Estate?
In realtà il film, presentato alla Festa del Cinema di Roma, ripropone quasi pedissequamente la forma dell’opera prima, nello smaccato tentativo di bissarne il successo (tentativo che con tutta probabilità andrà a buon fine): ancora una volta abbiamo una storia sulla Mafia in cui un protagonista dai modi semplici e ingenui si trova ad essere testimone di eventi più grandi di lui; un racconto piuttosto ruffiano dai toni goffi e dai modi didascalici che alterna gli spiegoni affidati alla voce fuori campo alla ricerca piuttosto forzata di immagini vagamente poetiche.
La storia questa volta è ambientata nel 1943, tanto che lo stesso Pif sostiene che potrebbe essere una sorta di ‘prequel’ ai fatti narrati nel suo primo film. L’ex Iena è Arturo, un newyorkese italoamericano che per sposare l’amata Flora (Miriam Leone) deve recarsi in Sicilia a chiederne la mano al futuro suocero. Non sapendo come arrivare in Italia, l’uomo si arruola nell’esercito statunitense al solo scopo di raggiungere la sua meta partecipando allo sbarco in Sicilia, ma una volta sul posto sarà testimone del passaggio di potere dal Fascismo alla Mafia, orchestrato dagli USA.
Una pagina di storia interessantissima ma poco raccontata
L’intento storico-politico è evidente sin da subito, e l’ottimo lavoro di documentazione che ha preceduto il girato fa sì che venga restituito (con i toni un po’ semplicistici propri di Diliberto) uno spaccato di un momento tanto importante quanto poco raccontato della nostra storia. Sappiamo bene quanto la politica militare americana si fondi sull’alleanza anche sciagurata con forze locali (basti pensate al Medio-Oriente degli ultimi 30 anni) e la liberazione non si sottrasse certo a questa consuetudine, avendo lo scopo non solo di sconfiggere il regime nazi-fascista ma anche di contenere l’area d’influenza della Russia comunista. In tal senso la pellicola si offre nel suo valore storico soprattutto a chi già conosce il ruolo svolto dalla Mafia non solo nella caduta del Fascismo in Sud-Italia ma anche e soprattutto nel mantenimento dello status quo nel corso dei decenni successivi (dalla repressione delle attività sindacali al coinvolgimento nello stragismo di stato, dai legami con la P2 all’esecuzione di politici progressisti di ogni schieramento), fino ad arrivare alla caduta del Muro nel 1989 e al violento riassetto della trattativa Stato-Mafia nei primi anni ’90. A tutto questo nel film si accenna solamente, ma rimane lo straordinario merito di aver messo in scena un pagina del nostro passato colpevolmente dimenticata, che si offre come indispensabile chiave di lettura per i problemi che tutt’oggi affliggono il Bel Paese e in particolare il Mezzogiorno.
La realizzazione tecnica, tra alti e bassi
Pif in In guerra per amore si fa in tre e oltre a interpretare il protagonista firma anche la regia e la sceneggiatura (a sei mani con Michele Astori e Marco Martani). Se solo alla maggior parte degli spettatori importasse qualcosa dell’interpretazione attoriale del presentatore, potremmo dire che è pessima e che semplicemente ripropone in costumi d’epoca il Pif televisivo, l’unico che conosciamo e che abbiamo già ritrovato nel film precedente. Il punto è che però è proprio quel Pif ad attrarre gli spettatori in sala, e che le uniche critiche sensate rimangono quindi quelle a Miriam Leone, mai così deludente.
Lo script è fatto per piacere al grande pubblico, e siamo certi che attrarrà consensi unanimi, eppure risente di un gusto smaccatamente televisivo e di una artificiosità nella ricerca del ‘poetico’ che sono il vero punto debole del film. Tutta la storia dell’asino volante è tanto retorica da risultare stucchevole e le figure del bambino e della mamma (Stella Egitto, lei sì bravissima) sono inspiegabilmente abbandonate a metà pellicola e risultano quindi, tutto sommato, inutili. Ci sono momenti divertenti – molti – ma purtroppo lo sketch potenzialmente migliore, quello incentrato sulla pronuncia del termine ‘water’, è recitato maluccio ed è copiato svergognatamente dal celebre ‘hamburger francese’ di Steve Martin.
Nulla da ridire sul comparto tecnico, che in particolar modo nella colonna sonora e nella fotografia trova solide fondamenta (anche se la conversione del girato diurno in notturno tramite viraggio del colore, adottato per contenere i costi di produzione, risulta non riuscitissimo).
Il vero talento di Pif è dietro la macchina da presa, e nonostante l’espediente della voce fuori campo – che facilita di moltissimo il lavoro del regista – troviamo una tecnica sicura e fluida che riesce a tenere incollati allo schermo senza mai annoiare. Ma d’altronde, prima di approdare negli show televisivi, Pif è stato assistente alla regia di Zeffirelli e Marco Tullio Giordana.
In conclusione In guerra per amore è una pellicola con diversi difetti che però sarà in grado di soddisfare la quasi totalità degli spettatori. Peccato il poco coraggio; non resta che aspettare il prossimo film per sperare di vedere qualcosa di veramente nuovo.