Giovedì 13 ottobre si è aperta ufficialmente l’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, in compagnia di Tom Hanks. Prima l’attore si è concesso a una conferenza stampa, per poi sfilare sul red carpet e avere un incontro con il grande pubblico.
Elegante, nel suo abito nero, con lo sguardo tenue e l’ironia sagace, ha conquistato il Premio per la carriera, conferitogli dalla Festa nelle mani di Claudia Cardinale.
Tom Hanks ci ha raccontato del suo rapporto con i nipoti, del suo mestiere di attore e delle scommesse da produttore; del suo rapporto con la vita, con i principi e le esperienze che ha fatto.
La passione per il suo mestiere lo ha fatto crescere, conducendolo sempre un passo avanti, con una nuova sfida e un carico di responsabilità. Per resistere cerca di non guardarsi indietro, perché dopo tutto i film rimangono sempre uguali, la sua immagine è cristallizzata in quel tempo, ma la vecchiaia avanza. A volte, per questo, potrebbe essere un po’ triste, ma è il suo lavoro. Essere attori è prestare la propria immagine, la propria voce e sentimento: implica una determinante capacità di scelta. Hanks cerca di valutare sempre il film, al di là dei colleghi, della location o altro: è l’idea dietro il film quella che deve abbracciare. Cerca di capire se è coerente con la sua carriera, se gli può insegnare qualcosa e se può essere adatto alla sua specificità di attore. “Io sono quello che sono – ci dice – non posso incutere terrore, accidenti!”, con ironia e consapevolezza accetta la sua fisionomia, ciò che il suo corpo comunica e così i ruoli da “buono”. Forse accetterebbe anche un personaggio negativo, ma che abbia delle buone motivazioni, perché ciò che lo affascina di più è proprio il conflitto tra bene e male.
Questo non significa che ripropone sempre lo stesso personaggio, la sfida è quella di cambiare, di mettersi alla prova. C’è il rischio di essere riconosciuti nei personaggi che si interpretano, a quel punto si resta vincolati per sempre. Per questo Hanks ha detto diversi no nella sua vita, “potrei stare qui a parlarvi di come sarebbe fantastico Forrest Gump 8” spiega con il sorriso sulle labbra, “ma non lo faccio. Con il nostro lavoro abbiamo un contratto con il pubblico che ci richiede di ripartire da zero. Se non c’è più mistero l’attore è in pericolo”. Quando il pubblico non si sorprende, quando esce dalla sala e pensa di aver buttato via il suo tempo, allora l’attore ha fallito.
Un mestiere ‘duro’ quello dell’attore, nel quale però Tom Hanks si destreggia abilmente e che sicuramente preferisce a quello di produttore. “La differenza tra attore e produttore è che l’attore non deve spiegare niente a nessuno; il produttore deve pregare molte persone per realizzare un film” e con un’imitazione ci fa vedere la classica chiamata da produttore che si sente attaccare il telefono in faccia.
Racconta di aver iniziato a lavorare alla produzione di Cast Away sette anni prima che uscisse, un tempo troppo lungo per lui, allora preferisce recitare.
Interpretare un personaggio va oltre il film, è un modo per comunicare alle persone, il cinema è un mezzo per sentirsi vivo. Da Philadelphia a Forrest Gump, ai lavori con Steve Spilberg (Salvate il soldato Ryan, Prova a prendermi, The terminal, Il ponte delle spie), la trilogia di Ron Howard (Il codice da Vinci, Angeli e Demoni e Inferno), al nuovo Sully di Clint Eastwood, con C’è posta per te, Il miglio verde, Cast Away: una carriera importante. Lo stesso Tom Hanks lo riconosce “Mi considero l’attore più fortunato al mondo. L’unico metro per misurare il successo è la longevità”, ma le occasioni capitano a tutti e bisogna saperle prendere e sfruttare. Tom Hanks è stato premiato per il suo impegno, per la serietà con cui prende il suo lavoro e soprattutto per la passione che dimostra al cinema. Sa capire chi sia e come farlo emergere, accettando le sfide e rifiutando ciò che non lo convince. Vedendo i suoi film hai davvero la sensazione che lui nasca da lì, entra in un personaggio, lo fa vivere e poi lo lascia dormire in quella pellicola, per andare avanti. Si arricchisce passo dopo passo, senza rimanere ancorato a nessuno, focalizzato sul presente, non pretende il successo e il riconoscimenti. Quelli arrivano di conseguenza, mentre gli anni avanzano nuovi ruoli lo attendono, e la sua consapevolezza gli permette di incarnarli ancora con curiosità.
La sua eccezionalità, ciò che lo rende un sopravvissuto nello star system è racchiusa in questa acquisizione d’identità. Mentre il progresso confonde le tappe temporali, non si sa aspettare, si vuole essere premiati prima ancora di fare, si cerca di lasciare invariata la propria immagine con la chirurgia estetica e libri new age: Tom Hanks riconosce il momento giusto.
Inoltre ha la capacità di accogliere ciò che gli si presenta. Lavorare con Clint Eastwood è stata un’esperienza diversa, perché non è il regista che ti incita e urla, lui non dice “ciak”, rotea l’indice in aria e poi a un certo punto viene vicino e ti fa “vai, va avanti. Ok, basta”. Bisogna essere bravi a trasformare la diversità in ricchezza e Hanks lo fa, riconosce nello stile di Easrwood un rispetto e una collaborazione, allora mette in scena del suo, accetta l’imprevisto e ascolta.
Questa apertura verso l’ignoto, la pazienza e la fiducia nel cinema lo hanno condotto alla fama e le tappe da raggiungere sembrano ancora tanti.
(foto di Lara Cetti)