Forse era necessario lo sguardo visionario di Werner Herzog – settantaquattro anni suonati e una sessantina di produzione alle spalle tra film e documentari – per tentare di raccontare la Rete e la sua immanenza nella vita di tutti i giorni evitando di contaminare la narrazione con quei luoghi comuni che non ci rendiamo conto di aver ossificato quando parliamo di Internet.
Una nuova prospettiva
Dopo esser stati abituati a squarci apocalittici, televisivi e giornalistici, che descrivono spesso la Rete come trappola disumana e alienante – ripescando quotidianamente e continuamente dei mantra che sappiamo a memoria come quello del “popolo della rete” – Lo and behold: reveries of the connected world si pone da tutt’altra prospettiva, indagando l’Internet come il risultato di uno straordinario progresso tecnologico e come mezzo neutrale nelle mani, spesso ancora inesperte, di una civiltà travolta da una rivoluzione tanto veloce quanto imprevedibile. Lo capiamo subito questo approccio non convenzionale, fin da quando la visione è invasa dalla voce teutonica di Herzog che ogni tanto si fa sentire fuori campo innescando domande, dubbi e riflessioni: è una voce eccitata, curiosa e coinvolta nella narrazione dell’oggetto che lui stesso sta raccontando. La sensazione è di trovarci per la prima volta in una narrazione di Internet che supera i filtri sociali, politici e sensazionalistici ed è invece veicolata da quello spirito di esploratore di nuovi mondi con cui il grande autore tedesco contraddistingue da sempre il suo linguaggio cinematografico.
Un decalogo post-biblico
Diviso in 10 capitoli – come in una sorta di un decalogo post-biblico – Lo and Behold inizia (“The early days”) raccontando l’epicità della prima storica comunicazione fra due computer connessi in rete (quel “Lo” che doveva essere “Log”) e termina (“The future”) con una domanda che travalica la materia e l’architrave tecnologica della connessione: “Internet può sognare?”. Un passaggio quasi obbligato da quella che è la storia scritta sui libri verso l’ignoto herzoghiano ancora tutto da scrivere, mentre in mezzo il regista tedesco incontra e intervista le figure chiave dell’innovazione telematica e tecnologica (informatici, scienziati, robotici) e incrocia alcune realtà quotidiane che in qualche modo hanno a che fare, nel bene e nel male, con la più grande rivoluzione della contemporaneità. Dall’entusiasmo del nerd che sta costruendo robot capaci di giocarsela a calcio con dei campioni in carne ed ossa al dolore di un padre di famiglia vittima di cyber-sadismo e bersagliato dalle immagini in Rete del corpo devastato della figlia morta in un incidente; da un gioco interattivo che grazie allo spirito collaborativo della Rete genera soluzioni ai problemi genetici a chi ai giochi online ne è invece dipendente e si trova in cura in un centro di disintossicazione per videogame-addicted. E così via, in un riflesso continuo di luci ed ombre, voli pindarici e decadenze, potenzialità e rischi: dall’altra parte, come dicevamo, per Herzog il mezzo è neutrale e indifferente all’uso che l’uomo decide di farne.
La nuova natura della (e nella) Rete
La Rete è dunque la protagonista indiscussa di Lo and Behold e man mano che Herzog la racconta si carica di un alone immateriale ed onirico (soprattutto quando parla di “invisibilità di Internet”), quasi fosse parte di quell’idea di natura tanto maestosa quanto pericolosa, la stessa che spesso ha raccontato nei suoi film (da La Soufrière a Grizzly Man). E come in altri indagini del “caos naturale” anche qui la Rete (e chi ci vive dentro) non è solo un panorama da contemplare ma assume il riflesso dell’animo umano diventando la proiezione della nostra stessa mente. Se da una parte Herzog si chiede se la rete “può sognare” – ovvero se è capace di umanizzarsi capovolgendo l’assunto della disumanizzazione tecnologica – dall’altra l’Internet diventa un pretesto per parlare di nuovi mondi: è il caso dell’intervista a Elon Musk di SpaceX (e prima PayPal), l’imprenditore che vuole portare l’uomo su Marte e colonizzare (sul serio e non a parole) il pianeta rosso. La Rete dunque non è solo parte di questo mondo ma genera orizzonti e paesaggi nuovi, nuovo caos, nuovi futuri, nuovi sogni. La Rete soprattutto, al di là della sua forma tecnologica, genera una natura nuova nell’uomo: è questo che affascina Herzog più di ogni altra cosa, che lo attrae e lo spaventa, che lo rende umile e curioso di fronte alla complessità infinita e indefinita dell’Internet.
Epico, didattico, universale, intimo, inquietante, caotico: Lo and behold è una stratificazione di visioni, riflessioni e intuizioni che appassionano e fanno sognare. Accompagnato dalle musiche composte e suonate – fra gli altri – da David Byrne e Lisa Germano, e con la fotografia (luminosissima) di Peter Zeitlinger è anche senza dubbio il miglior documentario mai stato realizzato sulla Rete e sulle prospettive future che attendono al varco l’umanità connessa. Un’opera nella quale Herzog, come recita una poesia di Walt Whitman, canta “il corpo elettrico” dell’umanità confermando il suo talento inestimabile nella capacità di guardare in profondità il mondo – esteriore ed interiore – dell’animale uomo.