In pieno clima elettorale, la Festa del Cinema di Roma decide di dedicare una rassegna alla politica americana. Dopo le dichiarazione di Tom Hanks, primo grande ospite del Festival, che giudica le presidenziali un festival del ridicolo e Trump un ignorante e incapace, la rassegna riporta alla luce un altro bruttissimo capitolo della politica statunitense. Tutti gli uomini del presidente è uno dei film cult più importanti di sempre, il più famoso titolo del cinema investigativo, e sicuramente il più amato tra i giornalisti stessi. La storia è quella di Bob Woodward (Robert Redford) e Carl Bernstein (Dustin Hoffman) che si ritrovano ad indagare su una apparente innocua rapina avvenuta il 17 giugno del 1972 nella sede del Partito Democratico, nel complesso di Watergate. Ma si da il caso che uno dei cinque uomini fermati dalla polizia dopo l’effrazione, appartiene alla CIA. Questo porta i due a pensare immediatamente che non si tratti di un semplice tentativo di furto, ma di una vera e propria guerra tra partiti. Nonostante l’omertà e il silenzio del resto della stampa mondiale, le prove che Woodward e Bernstein riescono a raccogliere conducono direttamente agli alti ambienti governativi, in particolare al Comitato per la rielezione del Partito Repubblicano in favore di Richard Nixon. Ripercorrendo le scie lasciate da conti esteri e inspiegabili movimenti di soldi (come dimenticare la famosa frase della misteriosa fonte anonima, chiamata Gola Profonda, che dice a Woodward “segui il denaro”?) i due giovani giornalisti giungono direttamente all’interno della Casa Bianca, scoprendo un enorme complotto a discapito del Partito Democratico. Lo stesso anno Nixon viene rieletto, ma nel maggio del 1974, dopo l’inchiesta del Washington Post, ha inizio la procedura di imputazione nei confronti del Presidente degli Stati Uniti, che presenterà le dimissioni soltanto tre mesi dopo.
Il soggetto potentissimo e completamente votato alla verità dei fatti, che racconta senza fronzoli il famosissimo scandalo Watergate, era una certezza di successo già nel 1976, anno di uscita del film, quando molti si sdegnarono (anche i democratici) solo per il fatto che la pellicola minava dall’interno il mito americano. La verità, nel bene e nel male, è una dura pillola da mandare giù. Ma il film nonostante questo divenne il manifesto del thriller di cronaca, e se oggi, a distanza di tempo da quello scandalo di cui ormai tutto sappiamo, il ritmo non è abbastanza incalzante per un pubblico che vede gli eroi in uomini in mantello e non in due giovani giornalisti, la sostanza dell’inchiesta è talmente reale da sfondare lo schermo e rendere la Storia più tangibile che mai. Ma il cinema è sempre e comunque spettacolo e arte: i nuovi giustizieri dell’America non hanno una vita all’infuori di quella giornalistica, non hanno per noi affetti, compagnie, hobby, passioni. Spesso ripresi in piano sequenza e soprattutto dall’alto, sono pedine di un gioco formidabile e perfettamente in sincrono messo in piedi dal regista Alan J. Pakula e dallo sceneggiatore William Goldman, in un turbinio di battute e inquadrature che non solo ci permettono di identificarci con Woodward e Bernstein, ma con l’indagine stessa.
Questo trattato vivente che sembra firmato Christian Metz, non a caso ha aperto la strada per tutti quei film di inchiesta che tanto hanno trovato successo negli ultimi anni: Frost/Nixon di Ron Howard, del 2008, ne riprende i temi. Il Caso Spotlight (premiato come miglior film agli ultimi Oscar) ne ritraccia il cuore.
RomaFF11 – Tutti gli uomini del presidente: la recensione
Di Elena Pisa
Per la retrospettiva American Politics la Festa del Cinema di Roma propone un grandissimo classico del cinema sul giornalismo d'inchiesta.