Al pubblico piacciono molto le storie di uomini o donne che, grazie alla loro determinazione e tenacia, riescono praticamente da soli ad affrontare (e, in alcuni casi, a battere) poteri forti all’apparenza indistruttibili come gli apparati statali o le grandi corporation: proprio di questo parla La Fille de Brest, film francese diretto dalla regista Emmanuelle Bercot inserito nella selezione ufficiale della 11° Festa del Cinema di Roma.
Il film è incentrato sulla storia vera della pneumologa Irène Frachon.
La dottoressa, interpretata da Sidse Babett Knudsen (l’abbiamo vista anche recentemente in Inferno e nella serie Westworld), riesce a ricostruire un legame diretto tra il consumo di un medicinale presente sul mercato da anni, il Mediator, e alcune morti sospette in un ospedale di Brest. La pellicola, che ripercorre tutte le tappe della vicenda, porterà la nostra protagonista, prima in silenzio e poi con l’attenzione della stampa, a lottare affinché la verità venga a galla per il bene dei pazienti.
La Fille de Brest è la classica rappresentazione dello scontro, visto già moltissime volte, tra Davide e Golia.
Emmanuelle Bercot, al suo decimo lungometraggio, porta in scena una storia alla Erin Brockovich (anche se il film di Soderbergh è tutt’altra cosa) che sottolinea quanto siano stretti (e pericolosi) i legami tra le industrie farmaceutiche, i centri di ricerca universitari e le autorità pubbliche; ciò che passarono la dottoressa Frachon e il suo team insegna che questi agglomerati industriali non guardano in faccia a nessuno per perseguire i loro interessi, non esitando a rovinare le vite dei propri clienti e di chiunque metta loro i bastoni tra le ruote. La trama procede molto lineare e senza affanni durante tutta la durata del film mentre la regia, nonostante si veda il mestiere della Bercot, non è molto incisiva e, in alcuni frangenti, è talmente standard da essere poco cinematografica e troppo televisiva (sembra quasi di guardare una fiction nostrana, non sfigurerebbe su Rai1 in prima serata).
Qualche problema si riscontra anche sulla non perfetta caratterizzazione del personaggio della protagonista.
La sceneggiatura, a cura di Severine Bosschem e della stessa Bercot, dipinge sì un character stoico, impavido e carismatico ma calca troppo la mano sulla sua costruzione psicologica, costringendo la pur brava Knudsen (che in Westworld è perfetta nel suo ruolo) ad eccedere nell’overacting nei momenti in cui evidenzia i tic e le debolezze della Frachon (risultando a tratti irritante e irrazionale) mentre i personaggi secondari sono delineati in maniera più efficace, soprattutto quello interpretato da Benoît Magimel che, dopo aver lavorato al disastroso Marseille di Netflix, tira fuori un’interpretazione solida e convincente.
Sicuramente bisogna apprezzare il film per la sua natura fortemente sociale e pedagogica e non c’è dubbio che possa far breccia su un determinato target di spettatori (il pubblico femminile di mezz’età lo adorerà) ma La Fille de Brest, in fin dei conti, è un film già visto e rivisto, senza mordente e molto poco interessante.