Il ricorso alla tavoletta Ouija non è nuovo nel cinema horror, anzi. Ma non sempre lo strumento usato nelle sedute spiritiche, che si crede in grado di metterci in comunicazione con lo spirito dei defunti, è stato usato con la stessa efficacia. Ouija – L’origine del male invece lo fa bene. Il regista Mike Flanagan usa lo script di Jeff Oward (e alla cui stesura ha contribuito anche egli stesso) per concepire una pellicola ben curata sotto tutti i punti di vista, da quello della recitazione ai movimenti di macchina, dall’originalità mai scontata agli effetti speciali che sono al servizio esclusivo del plot e mai fuori luogo o fine a sé stessi. Il risultato è dunque un film decisamente “onesto” e per questo perfino “credibile”.
La storia è ambientata nel 1967 in una casa di Los Angeles, Stati Uniti. Dove, mentre l’uomo è proiettato alla conquista della Luna (che poi avverrà con l’Apollo 11 il 20 luglio del 1969), ad Alice Zander muore il marito per un incidente d’auto e, rimasta sola con la figlia adolescente Lina e con la più piccola Doris, si guadagna da vivere ricevendo in casa persone desiderose di mettersi in contatto con i loro defunti e rivolgergli domande per essere rassicurati, incoraggiati, guidati. Alice si spaccia per una medium ma in realtà ha messo in atto una vera e propria truffa attraverso marchingegni artigianali ma efficaci per raggiungere la spettacolarità e l’effetto desiderato. Del “sistema” truffaldino fanno parte anche le figlie, la più piccola per gioco e senza neanche saperne il motivo, l’altra più grandina perché cosciente delle necessità familiari. Tutto fila liscio come l’olio finché non entra in scena la tavola Ouija (molto “popolare” negli anni Sessanta) per aggiungere a quel set un po’ improbabile costruito nel salone di casa un ulteriore strumento di persuasione in grado di far presa sulla clientela. La storia quindi si complica fino alle estreme conseguenze, ma lo fa con assoluta coerenza, salvo cadere un po’ di tono nel momento in cui padre Tom, il sacerdote che si troverà coinvolto nella vicenda, non svelerà il motivo del maleficio. Un motivo che naturalmente non sveleremo ma che la sceneggiatura poteva anche evitare e sostituire con qualcosa in grado di mantenere il peso specifico di una pellicola che, a parte questa parentesi, ne possiede e lo fa apprezzare.
Il cast permette al film di marciare costantemente sul binario di una recitazione misurata, non eccessiva, necessaria al contesto ma, verrebbe da dire, “sobria”. Questo il merito di Elizabeth Raaser (Alice), Lulu Wilson (Doris), Henry Thomas (padre Tom) e soprattutto di Annalisa Basso che qui interpreta la figlia maggiore Lina ed è tra le interpreti di Captain Fantastic in sala dal 15 dicembre e recensito in anteprima per voi da Anonima Cinefili alla Festa del Cinema di Roma.
Il regista statunitense si cimenta ancora una volta con un horror dopo Oculus – Il riflesso del male del 2013 e Somnia del 2016. Flanagan continua dunque a scrutare l’orizzonte del cinema di genere, un terreno sul quale si muove a suo agio e si vede. Ouija – L’origine del male segna però un netto progresso rispetto ai primi due, sintetizzando la spettacolarità del secondo e il linguaggio metaforico del primo. Una lettura stratificata dell’horror porta infatti lo spettatore che vuole farla a individuare i codici (alcuni) che sottintendono i comportamenti e le relazioni umane: tanto quelle dei “clienti” quanto quelle familiari. E alla fine non è poi così difficile dedurre che i problemi affettivi irrisolti sono molto più gravi e inquietanti di una possessione.
Ouija – l’Origine del Male: la recensione (no spoiler)
Il regista di Oculus e Somnia torna in sala con il prequel di Ouija, confezionato con accuratezza e talento.