Lao Shi è un tassista che vive e lavora in una grande città cinese; popolosa, caotica, alienante. Durante una corsa il suo taxi investe un uomo, incidente causato dal passeggero ubriaco che gli afferra un braccio e gli fa perdere per un istante fatale il controllo dell’auto. Il cliente scappa e scompare tra la folla e a Lao Shi non resta altro che fermarsi e verificare le condizioni della persona investita, che appaiono subito gravi. Il tassista, forse condizionato anche dai commenti di un gruppetto di passanti che, pur con il dovuto distacco, non rinunciano a commentare la scena, decide di guadagnare tempo e di trasportarlo in ospedale senza attendere l’arrivo dei paramedici e della polizia. L’uomo viene operato d’urgenza ed entra in coma. Lao Shi gli paga le prime spese sanitarie poi va dalla sua assicurazione per denunciare l’incidente e poter ricevere da essa la copertura economica del caso. Ma qui cominciano i suoi guai perché la polizza assicurativa prevede che non si possa trasportare un ferito incidentato a bordo dell’auto, che bisogna attendere la polizia, che è necessario vedere le perizie, e poi i verbali e poi le testimonianze, e poi e poi. Le cose non vanno meglio nella stazione di polizia, anzi aggravano ulteriormente la posizione del tassista perché le foto scattate ignorano completamente misurazioni e dinamica dell’incidente e si soffermano solo fissando su pellicola le grandi macchie di sangue sull’asfalto. In compenso durante l’interrogatorio riesce a sottrarre illecitamente dal fascicolo dei poliziotti i recapiti telefonici della famiglia della persona investita. La contatta per spiegare la situazione e chiedere almeno di aiutarlo nel le spese sanitarie del loro congiunto in attesa che l’assicurazione faccia chiarezza sull’incidente e intervenga, ma trova una situazione disperata che lo costringerà a subire, attanagliato dal rimorso e dalla compassione, un tracollo economico che metterà in crisi prima di tutto i suoi rapporti familiari e poi la sua stessa esistenza. Nel frattempo l’uomo che aveva subito l’incidente esce dal coma, l’ospedale lo dimette, Lao Shi lo rintraccia e la pellicola si avvia verso la parte finale con la stessa tensione che accompagna lo spettatore sin dall’inizio e con alcuni colpi di scena.
Old Stone è l’opera prima di Johnny Ma, regista cinese che vive in Canada, con la quale ha vinto il Toronto International Film Festival 2016 e proiettata a alla 34a edizione del Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile. Old Stone può essere visto come un dramma, oppure come un thriller psicologico o magari come una ordinaria storia metropolitana dei giorni nostri. Definizioni anche giuste per chi ha la necessità di delimitare i confini. In realtà quello di Johnny Ma è il classico film di “scuola orientale” che non ha paura di mettere a nudo l’uomo, nel bene o nel male fate voi, i suoi istinti, le sue pulsioni, le sue contraddizioni più intime. L’impressione che se ne trae, infatti, è che il regista abbia voluto portare sul grande schermo una storia tutto sommato ordinaria ma che diventa straordinaria nel momento in cui il protagonista viene messo nel tritacarne di una sorta di girone dantesco dove nulla ci è risparmiato, compreso il contrappasso. Dal punto di vista registico la pellicola è girata con una sua “onestà” di fondo. Nulla di assolutamente indimenticabile ma efficace quanto basta per farne un prodotto fruibile da tutti. Lo stesso dicasi per le interpretazioni di Gang Chen, Nai An (anche produttrice esecutiva), Hongwei Wang, Zebin Zhang, e Xue’er Luo. Certo, la recitazione di attori orientali, vuoi per la lingua, vuoi per il contesto culturale dove il “significante” spesso non coincide esattamente con quello occidentale, va assecondata. Merito del regista (e sceneggiatore) però è quello di farci vedere un piccolo spaccato cinese dove si scopre ad esempio che gruppi di persone amano fare sedute di aerobica in piazza, e che, soprattutto, ogni minima inquadratura prepara allo sviluppo della storia e non è mai fine a sé stessa, compresa quella di pezzi di mattoncini che sobbalzano nel cassone di un camioncino lungo una strada sterrata. Quando si dice il dono della chiarezza.
Johnny Ma ci mette davanti agli occhi un realtà scomoda, fastidiosa. Guardando il film, in alcune parti si avverte una sorta di irritazione, di rifiuto ad andare avanti e se si continua potrebbe essere forte la tentazione di liquidare tutto come inverosimile e magari dare del babbeo (per non dire di peggio) al personaggio principale. Se vi capiterà di guardarlo e se avrete questa reazione, prima di uscire dalla sala domandatevi se non lo state facendo solo per legittima difesa. Magari perché non c’è apparentemente redenzione o perché vedremo che perfino chi ci ama si sentirà “liberato” e ci guarderà con benevolenza solo dopo il nostro “sacrificio”. Anche se, a conti fatti, sarà una liberazione illusoria, visto che chi sopravviverà dovrà a sua volta scegliere se essere il “babbeo” di turno oppure se continuare a galleggiare nel vuoto delle fronde ventose degli alberi di un’imprecisata foresta o nella palude dove le rane gracidano contro il nulla. Se vi sfiora il pensiero che la visione del cineasta sia pessimistica, sappiate che anche il titolo originale, Lao Shi, significa “Vecchia roccia”.
TFF34 – Old Stone: la recensione in anteprima (no spoiler)
L'opera prima di Johnny Ma, vincitrice del Toronto International Film Festival, approda al festival di Torino nella seziona Festa Mobile.