Se è vero che i primi amori sono fatti per spezzarti il cuore, Gilmore Girls – A Year in the Life è quello che ti incontra dopo anni, ti seduce, e poi se ne va lasciandoti nei peggiori dei modi. No, non è vero. Torna ancora, e passa sopra al tuo cadavere più volte. Lorelai Gilmore (Lauren Graham) è, come si evince dal trailer della nuova stagione, fidanzata ormai da anni con Luke ( Scott Patterson). Alle prese con la sua locanda, è ancora nel bel mezzo di un rapporto burrascoso con la madre Emily (Kelly Bishop) che invece si ritrova ad affrontare improvvisamente la morte del marito Richard (Edward Hermann, deceduto nel 2014, si è fortunatamente deciso di non rimpiazzare con un altro attore, lasciando che anche il suo personaggio lasci la serie). Rory invece è una splendida trentaduenne disoccupata e senza amore.
Fantastico no? Le premesse per ricominciare e chiudere finalmente il famoso cerchio ci sono tutte. Allora perché, dopo quasi dieci anni dalla fine della settima stagione (andata in onda in Italia tra il 2007 e il 2008), l’ideatrice-sceneggiatrice-regista Amy Sherman-Palladino, non è riuscita a cavarne fuori un testo che sia anche solo minimamente accettabile? Non solo accettabile dai fan della serie, pieni di aspettative e schierati in teams vari (Dean, Jess, Logan) dal momento in cui uscì la prima notizia di un possibile revival, ma per tutti i fruitori di serie tv.
Quattro puntate da novanta minuti, disponibili su Netflix, sarebbero dovute essere sfruttate al massimo per riprendere i temi lasciati in campo nel 2008 e lasciare naturalmente spazio a un percorso conclusivo degno di personaggi cult della tv. Quando ancora i grandi budget, gli effetti speciali, le storyline complesse e la seduzione del pubblico, non erano la premessa unica per i prodotti seriali, lo svisceramento dei personaggi era l’elemento che rendeva speciale una serie tv. Loreali e Rory Gilmore erano nei primi anni 2000, l’emblema di un’opera del tutto costruita attorno alla loro caratterizzazione: una madre giovanissima abbandona la vita di alta classe che apparteneva ai genitori per dedicarsi completamente alla figlia, un piccolo genio della scrittura, destinata a un futuro brillante, casualmente catapultate nella piccola cittadina di Stars Hollow, nel Connecticut, piccolissima, incantevole, perfetta, dove cresceranno, incontreranno i primi amori e le prime delusioni, soddisfazioni lavorative e un cane di nome Paul Anka.
E Stars Hollow è l’unica cosa, con i suoi bizzarri personaggi di contorno, che è immutata e (tassativamente) immutabile. È quello che amiamo della serie, è quello che ci fa respirare il profumo di casa, e come tale deve restare. È tutto il resto che non funziona. Troppi minuti di ogni puntata sono dedicati al nulla narrativo (venti minuti di musical allucinato che ha per tema Stars Hollow e la sua storia sono tempi comici decisamente lunghi), quando invece molti personaggi avrebbero potuto mostrarsi di più: Lane, Zack, Paris (Liza Weil, presenza fissa in Le Regole del Delitto Perfetto), Sookie (Melissa McCarthy, impegnatissima al cinema negli ultimi anni) sono ombre di passaggio o pezzi di antiquariato posti sullo sfondo. Lorelai e Rory sono completamente fuori dai binari della loro caratterizzazione. È difficile a questo punto non cedere allo spoiler, ma vi basti sapere che tutto ciò che ha reso Rory Gilmore la ragazza prodigio, quella piena di sogni, destinata a una carriera formidabile, leale e fedele a se stessa, qui non lo troverete. Troverete una Rory persa, fin troppo per una della sua età (sì, la crisi dei trentenni è reale, ma lei non è come tutti gli altri), senza slanci e poche prospettive. Troverete invece la stessa identica Lorelai, ma peggiore: egoista, egocentrica, continua a far girare tutto intorno a sé, prende decisioni improvvise, sbagliate, che trovano risposta troppo tardi per il tempo che abbiamo a disposizione, e che stavolta non fa nulla per aiutare la figlia in panne. Ecco, Lorelai è l’emblema di un impianto narrativo fermo, impantanato nel fango del “dobbiamo chiudere questa storia in un modo o nell’altro”.
Sono pochi i personaggi nel pieno della loro natura: Jess (Milo Ventimiglia), uno dei grandi amori di Rory, è dove lo abbiamo lasciato, ma migliore: scrittore di successo, conosce la giovane Gilmore come nessun altro al di fuori di sua madre, sarà il suo salvatore, donandole lo slancio per riprendere in mano la sua vita. Luke è sempre il ragazzo del diner innamorato di Lorelai, ma non cede alle sue pazzie, sempre in cerca di nuova linfa per la loro storia, e definisce una volta per tutte che lei è tutto ciò che vuole dalla vita, regalandoci il miglior monologo non solo della stagione, ma forse dell’intera serie.
Infine, l’unica presenza interessante è in realtà un’assenza: quello di Richard, come quella di ogni grande uomo, è un ricordo potentissimo, tangibile, che presiede dall’alto questa storia e senza la quale sua moglie Emily non sarebbe potuta diventare il meraviglioso personaggio che vediamo in queste quattro puntate. Forte e fragile allo stesso tempo, persa e risoluta, rigida e comprensiva, ha un’evoluzione che non è stata riservata alle altre due protagoniste. Le Gilmore Girls, non sono solo Lorelai e Rory, soprattutto perché non ci sarebbe altrimenti quell’incontro intergenerazionale che è alla base della serie. E qui, Emily, tiene alta questa bandiera. La sua evoluzione è la più commovente, toccante, profonda, dettagliata, ben costruita. Lei sì che chiude un cerchio, e ne apre un altro che indirizza la nostra immaginazione verso orizzonti precisi che non tradiscono affatto l’anima di Una Mamma per Amica.
Il prendere coscienza di non essere dove avevamo progettato, chiudere un cerchio e proiettarci verso un futuro più definito, è una linea narrativa che è stata abbandonata di punto in bianco a favore di una struttura a spirale che gira continuamente su stessa. E il senso di claustrofobia è dietro l’angolo.
Poche cose sono state risolte, e l’unico elemento che ci resta per combattere lo scontrasi di scene o meravigliosamente commoventi o enormemente penose, sono i dialoghi serratissimi sulla cultura pop che rendono le Gilmore tali. Ma non basta. E forse rimpiangiamo quel finale della settima stagione che, ora, in confronto a questo, tanto aperto non sembra più.
Inaccettabile, incoerente, inammisibile. Se è vero che Amy Sherman-Palladino disse di avere già pronta da anni la scena finale, chissà se la maggiore disponibilità di alcuni attori (Melissa McCarthy, Milo Ventimiglia, Jared Padalecki del ruolo di Dean, e altri) avrebbe reso questo prodotto migliore. Chissà se quelle famose ultime quattro parole sarebbero state, finalmente, perfette.