C’era una volta una serie che aspirava a diventare l’erede di Mad Men (e le premesse in partenza c’erano tutte) ma che, nel corso degli anni, non solo non è riuscita a raggiungere quel livello ma ha rischiato seriamente di arenarsi in maniera quasi del tutto irreversibile: stiamo parlando di Masters of Sex, la serie del canale premium cable Showtime, arrivata alla sua quarta stagione, che racconta la storia di William Masters e Virginia Johnson, la coppia di sessuologi americani divenuti, grazie alle loro ricerche, pionieri nel periodo della rivoluzione sessuale.
Quest’anno è il riavvicinamento tra i due a costituire il plot principale della stagione.
Dopo aver toccato il punto più basso della sua vita, Bill (Michael Sheen) riesce faticosamente a rialzarsi, grazie anche al suo allontanamento volontario nei confronti della partner Virginia (Lizzy Caplan) che nel frattempo, rendendosi conto dell’attrazione che prova nei confronti del dottore, fa di tutto per riavvicinarsi a lui; i due però devono far fronte a delle minacce che rischiano di screditare il loro lavoro e di fargli perdere l’esclusiva dello studio da loro creato mentre Libby (Caitlin Fitzgerald), l’ex moglie di Bill, rimane talmente affascinata dal movimento hippy che in quegli anni si sta diffondendo a macchia d’olio che decide di trasferirsi, assieme ai figli, in California.
Non siamo di fronte al mediocre livello della terza stagione ma Masters Of Sex non riesce più a tornare ai fasti dei primi anni.
Quando andò in onda per la prima volta nel 2013, lo show creato da Michelle Ashford (sceneggiatrice che, tra le altre cose, ha lavorato nella miniserie HBO The Pacific) è stato subito comparato a Mad Men perché, oltre ad essere un period drama come il capolavoro della AMC, riusciva a costruire, attraverso il racconto del legame professionale e personale tra i due sessuologi, il ritratto di un’epoca molto particolare come gli anni Sessanta, periodo dove tutte le convenzioni politiche, sociali e culturali venivano messe seriamente in discussione. Ma se nelle prime due stagioni questo equilibrio nella scrittura è stato il vero punto di forza di Masters of Sex, a partire dallo scorso anno è avvenuta una sorta di involuzione in cui gli autori hanno messo in secondo piano il quadro storico-sociale privilegiando invece il rapporto di amore-odio tra Bill e Virginia: in poche parole, la serie è diventata una soap opera. Di qualità, ma pur sempre una soap.
Neanche l’inserimento di nuovi personaggi ha dato una scossa alla serie.
L’idea di inserire nella sceneggiatura una coppia di dottori che, con il loro operato, minacciano il futuro dello studio Masters & Johnson era l’ideale per smuovere un pò le acque; purtroppo però la Ashford e il suo team non soltanto non riescono a sfruttare questo potenziale ma lo sperperano nella maniera peggiore ovvero facendo uscire di scena queste mine vaganti come se fossero passate di lì per caso (nonostante un buon lavoro di caratterizzazione, legato soprattutto alla figura dello psichiatra Art Dreesen, interpretato dal bravo Jeremy Strong). La caratterizzazione dei personaggi appunto, altro tallone d’Achille dello show: se nel corso di queste stagioni la figura di Bill è cresciuta tantissimo, i characters femminili principali, chi per una riduzione di minutaggio (Betty) o chi per una rappresentazione fin troppo contraddittoria (Libby e, soprattutto, Virginia), hanno sofferto invece quest’anno di una gestione da parte degli autori non soddisfacente (cosa molto strana, dato che lo showrunner è una donna).
Sono ormai due anni che Masters of Sex è vittima della “Sindrome Showtime” (di cui abbiamo parlato ampiamente negli articoli dedicati a Shameless e Ray Donovan), fenomeno che colpisce le serie più popolari del canale via cavo americano ed è difficile, ad oggi, vedere una fine a questo trend; questo dispiace perché, alla fine, il prodotto rimane di buona qualità e non si discute sulla bravura di ottimi attori come Michael Sheen e Lizzy Caplan ma se la Ashford non decide di cambiare marcia allora dobbiamo considerare MoS per quello che è, “semplicemente” uno show discreto che però non aggiunge nulla ad un panorama seriale sempre più variegato e competitivo.