Cosa sareste disposti a fare se qualcuno vi proponesse di acquistare una foto inedita del vostro poeta preferito. Se ci state ancora pensando vi togliamo qualsiasi dubbio aggiungendo che quella foto cambierebbe un pezzo di storia della poesia e della letteratura ma anche della musica e del cinema.
Per Bruno Bigoni i problema si pone fino a un certo punto. Lui è un appassionato di Arthur Rimbaud e quella foto lo ritrae proprio nel 1891 all’ospedale Conception di Marsiglia, dopo che gli fu amputata una gamba a causa di una grave malattia che da lì a poco provocò la sua morte. Il regista stava già lavorando ad un progetto sul poeta francese ma quando gli arrivò una strana telefonata fu costretto a cambiare radicalmente i suoi programmi. Una donna francese, infatti, gli proponeva l’acquisto di una foto inedita che ritraeva Rimbaud in ospedale e su cui erano scritti dei versi altrettanto inediti che sarebbero stati la prova della ripresa della sua “attività” poetica. Una scoperta sconvolgente considerando che i documenti conosciuti, le biografie e l’intero mondo della critica e della letteratura data le sue poesie all’incirca tra il 1870 e il 1874, tra i sedici e i vent’anni. Il regista decide allora di andare fino in fondo e con una telecamerina nascosta inizia, filmandola, la sua ricerca, iniziando ad incontrare la donna. Il dubbio, come è ovvio, è sull’autenticità di quella foto. Ma la sua passione per il poeta è così forte che decide di rischiare. Vende una preziosissima collezione di dischi e compra il documento per 5mila euro. Lo fa analizzare in un laboratorio chimico che gli conferma la presenza di sostanze compatibili con l’epoca a cui risalirebbe. Ma non basta, così per avere altri pareri il regista incontra Renato Minore, Gianni Canova, Steve Della Casa, poi va in Francia per confrontarsi con la direttrice del Museo Rimbaud. Ma tutti, più o meno, smontano le sue poche certezze e lo disilludono. Così non gli resta che andare sulla tomba del poeta, a Charleville, quasi per una richiesta di ispirazione e di verità al… diretto interessato e consegna una sua lettera al Postino di Charleville, una cassetta delle lettere accanto all’entrata del cimitero dove ancora oggi Rimbaud, “Il poeta mai morto”, riceve messaggi da ogni parte del mondo. Quando tutto sembra avviarsi a conclusione arriva il colpo di scena.
Chi mi ha incontrato non mi ha visto, presentato nella sezione Afterhours della 34a edizione del Torino Film Festival, prende il titolo da una frase di Rimbaud ed è un film sul bisogno di pilotare ciò in cui ognuno vuole o non vuole credere. La linea che demarca l’uno o l’altro campo è un trucco perché tutti hanno le loro buone ragioni per schierarsi sia di qua che di là. Anche ragioni molto concrete e non proprio nobilissime, come quelle economiche o per mantenere la leadership accademica perché “gli accademici ogni volta che gli cambi gli equilibri vanno nel pallone”, o anche perché “ogni mito è sempre un pericolo per qualcuno”. Ma la domanda delle domande è quanto possa incidere una mancata presunta verità nel già immenso patrimonio che i grandi personaggi ci hanno lasciato. Non si corre forse il rischio di essere ricordati per una slitta con cui si giocava da bambini, a fronte di un’esistenza che ha volato nell’infinito della poesia? Il poster di Quarto potere di Orson Welles che giganteggia nello studio di Bigoni non può passare inosservato e lasciare indifferenti.
La verità invece è un gioco al massacro perché ogni volta qualcuno sposta l’asticella, e non necessariamente verso l’alto. E ogni volta si rinnova la lotta tra credere o non credere, fino a giungere alla dinamica di sempre: credere a quello a cui si desidera credere. Il tema non è certamente nuovo nel cinema e in letteratura ma portarlo sul grande schermo con un espediente così originale è il grande merito di Bruno Bigoni.
Ora invece dimenticate la telecamerina nascosta. Non perché non ci sia, ma perché anche quella è solo una parte del film dove le riprese sono fatte anche con una vera e propria telecamera che riprende in oggettiva per mettere in scena un falso documentario. E mai come in questo caso la tecnica del mockumetary appare adatta e in linea con il dubbio. In ogni caso il film si guarda molto bene e farebbe invidia a tanti thriller in circolazione.
Una certezza però ce l’abbiamo. Ed è quella che con la partecipazione di Gianni Canova e Steve Della Casa il film contribuisce a soddisfare l’ego dei critici cinematografici. I quali in un perenne rapporto di amore e odio con il cinema hanno in comune il desiderio inconfessabile di essere loro stessi nel cinema. Ma a loro non ditelo, non lo ammetteranno.
TFF34 – Chi mi ha incontrato non mi ha visto: la recensione in anteprima
Bruno Bigoni compie un viaggio filmico in cui inseguendo Rimbaud cerca se stesso, leggendosi in un'immagine.