“Fai finta di non vedere.”
“Ma io ci vedo!”
“E allora cecati gli occhi!”
In questo scambio di battute tra Luigi e sua madre, sembra racchiuso il senso di Gramigna. Volevo una vita normale. Per il suo secondo lungometraggio Sebastiano Rizzo ha voluto portare su grande schermo la storia vera di Luigi di Cicco, un uomo che in gergo di mafia è detto figlio d’arte. Purtroppo, l’arte è quella della Camorra, e comporta un destino che sembra già scritto. Sottrarsi alla morsa e alla banalità del male è la storia di una battaglia quotidiana, che inizia fin dalla primissima infanzia.
Luigi di Cicco aveva scelto di raccontare la sua vittoria con il libro Gramigna. Vita di un ragazzo in fuga dalla Camorra (edizioni Piemme), scritto insieme al giornalista Michele Cucuzza. Entrambi erano presenti in sala Domenica 27, per l’anteprima del RIFF, insieme alla troupe e il cast del film al completo: visibilmente emozionati, visibilmente fieri di questa storia.
Il film di Sebastiano Rizzo è efficace, rapido, senza sbavature. Il rischio di scadere nella retorica, per un racconto del genere, era particolarmente alto. Ma non è il caso di Gramigna, che sceglie piuttosto un’estetica e una struttura fortemente contemporanee.
Certo, Gomorra sembra aver cambiato per sempre il linguaggio che racconta la Mafia. Dopo decenni di prodotti televisivi in prima serata, fondati sul contenuto (presunto) e dalla forma scadente, fatti di dialoghi infiniti, grandi proclami, boss sanguinari e madri coraggio, prima il film di Matteo Garrone, poi la serie ispirata dal bestseller di Roberto Saviano, hanno squarciato il velo della verosimiglianza, affermando la necessità di entrare nel profondo, nei meccanismi, nei dettagli quotidiani di un universo parallelo, vicino a chiunque viva in Italia, ma accuratamente protetto dall’omertà. Che in fondo è anche l’omertà dei luoghi comuni, delle immagini edulcorate, che non disturbano l’esistenza di buoni e cattivi.
Il film di Sebastiano Rizzo segue questa strada. Ha il grande pregio di lasciare sullo sfondo i capi, per mostrare in primo piano chi è relegato al margine, le mogli, i figli, costretti a seguire un rigido copione, che non si cambia, non si discute; tutela un equilibrio superiore alle persone, e per questo non ammette la più banale forma di libertà individuale.
Gramigna parte così dalla storia di Luigi e sua madre. Il ragazzo non ha mai incontrato il padre, condannato all’ergastolo, se non tra le mura del carcere o nei permessi speciali. Di quel padre conosce solo la nostalgia. Il boss appare e scompare dalla sua vita come una guest star, sempre scortato da guardie in divisa.
Fin da piccolo, Luigi non ha sentito altro che un ordine: non essere come suo padre. Ma la sua fama lo precede ovunque vada. Fin dal primo giorno di scuola, Luigi è il figlio del boss. Prima ancora di farsi conoscere, eredita i suoi amici e nemici. Tutti ripetono di non seguire quel tracciato, ma nessuno sembra spiegare come. Eppure, perfino dopo aver conosciuto il carcere da innocente, a seguito di un’accusa infondata, la storia di Luigi di Cicco afferma con orgoglio che la libertà è possibile.
Il cast di Gramigna è un elemento fondamentale, che garantisce al film la sua forza. L’interpretazione del giovane Gianluca di Gennaro, nella parte di Luigi, è eccellente. Così quella di Teresa Saponangelo, nella parte di sua madre. Il boss Diego di Cicco ha il volto di Biagio Izzo: una scelta interessante, che mostra una star della comicità italiana sotto una luce totalmente inedita. Un ruolo importante è anche quello di Enrico Lo Verso, professore di educazione fisica, presenza concreta e costante nelle scelte di Luigi. Tra gli altri interpreti, citeremo almeno Ernesto Mahieux, icona dello spettacolo napoletano e indimenticabile protagonista de L’imbalsamatore di Matteo Garrone (2002).
Oltre il cast, colonna portante del film è la splendida fotografia di Timoty Aliprandi, dai colori lividi, quasi esangui, che sottolineano la smorfia di sofferenza e fatica costante dei protagonisti.
Piuttosto che puntare il dito contro qualche ingenuità della sceneggiatura, concluderemo dicendo che Gramigna è un film dal messaggio importante, ma anche avvincente e visivamente impeccabile. Merito di Sebastiano Rizzo, che ha realizzato un’opera diretta, dove si vede molto e si parla poco, lo stretto necessario, come risulta essere nella realtà.
Giovedì 1 Dicembre conosceremo i vincitori della quindicesima edizione del Rome Independent Film Festival. Tra i lungometraggi italiani, Gramigna sembrerebbe decisamente tra i favoriti.