La cultura occidentale è entrata in contatto con il termine ‘tabù’ quando sul finire del ‘700 James Cook ha riferito come sulle isole Tonga le popolazioni autoctone lo utilizzassero per indicare comportamenti o oggetti proibiti; è pero solo a cavallo tra il XIX e il XX secolo che lo straordinario lavoro dell’antropologo James Frazer ha dato alla parola il significato moderno, e cioè quello di un limite il cui superamento comporta un turbamento del sentire comune e una perdita del prestigio sociale.
Cosa accade però se il concetto del tabù viene ricollocato in un contesto storico in cui è rimasto poco da perdere? Cosa succede se alla sacertà delle convenzioni sociali subentra un nichilismo che non ha paura di sfidare alcun giudizio? Che società è quella che brama segretamente lo stesso abbattimento delle proprie convenzioni? Sono queste le domande da cui sembra partire Adriano Giotti per il suo Sex Cowboys, premiato come miglior film al Rome Independent Film Festival 2016 e disponibile in home video grazie a CG Entertainment.
IL TENTATIVO ESTREMO DI FAR COINCIDERE PIACERE E DOVERE
Il soggetto di partenza, che porta la firma dello stesso Giotti, è decisamente interessante pur non essendo di certo inedito: una coppia in ristrettezze economiche si ritrova a girare dei porno amatoriali per sbarcare il lunario. Quello del precariato sembra un tema ineludibile nel cinema italiano degli ultimi anni, ma fortunatamente qui riesce incredibilmente ad esser proposto con una certa freschezza; se inoltre generalmente si cerca di esplorare gli elementi più comici della premessa legata alla pornografia ‘di necessità’ (si pensi al Cosa Vuoi Che Sia di Edoardo Leo, sempre del 2016, ma anche e soprattutto a Zack and Miri Make a Porno, scritto e diretto da Kevin Smith nel 2008), Sex Cowboys ha l’indiscutibile merito di offrire uno sguardo più serioso e autoriale, calcando la mano sulle implicazioni meno consolatorie della storia.
Il sesso è per l’appunto un tabù, e non è un caso che spesso altrove si ricorra alla comicità per mascherare l’imbarazzo che ancora può suscitare nel pubblico un erotismo che invece sarebbe ragionevole considerare come un qualsiasi fatto della vita. Giotti non solo non si lascia tentare da una confortante autocensura da cinema dei telefoni bianchi, ma vanta un sano gusto della provocazione, arrivando a proporre un tangibilissimo cinema di corpi e gemiti, in cui la nudità e la passione sono colori vividi della sua tavolozza e in cui il disagio del pubblico in sala è continuamente ricercato con una sorta di sfida alla morale.
UN FILM IN CUI LA DENUNCIA NON È RETORICA MA RIBELLE
È proprio tra le pieghe della carne che si annida però il vero cuore della pellicola, che dopo aver inizialmente introdotto una non trascurabile componente sentimentale e aver superato il pretesto del porno finisce per dimostrarsi un agile (meno di un’ora e un quarto) ritratto di un vuoto generazionale, in cui il crollo di ogni certezza non solo trasforma il piacere in merce di scambio, ma crea un ardito gioco di squilibri e contraddizioni tra ciò che è ricercato e ciò che è obbligato, tra un tessuto sociale che si sfalda e il bisogno voyeuristico di partecipare dell’unione altrui, tra l’esibizionismo come gioco erotico e l’esibizionismo come esposizione della debolezza.
Sex Cowboys finisce così per provocare più con la sua visione politica che con l’esposizione della componente sessuale, e con maestria Giotti dimostra di saper amareggiare dove ci si aspetterebbe che ci eccitasse, di non voler offrire facili risposte laddove altri cercherebbero una rassicurante morale, di non calcare la mano a tutti i costi sull’impegno sociale proprio mentre racconta la storia di una coppia che – a suo modo – forse scappa dalla realtà mentre si autoconvince di affrontarla.
SEX COWBOYS: IL SESSO COME PRESENTE ASSOLUTO
Il sesso è di per sé atto, momento presente scollegato da ogni prospettiva passata e futura, ed è proprio nella forza allegorica dell’erotismo che si sviluppa il doppio livello di lettura di personaggi senza meta ritratti in uno spaccato di vita assoluto; un uomo e una donna del cui passato non sappiamo praticamente nulla e il cui futuro ci è precluso – al massimo suggerito. La pornografia, etimologicamente il ‘racconto’ della prostituzione, diventa pertanto la testimonianza di un presente letteralmente e figuratamente alienato, la quintessenza di una generazione.
Il linguaggio di Adriano Giotti, giovane autore con un impressionante curriculum nel videoclip e con importanti precedenti al cortometraggio, è intessuto di ipercinetismi affidati alla camera a mano e di tagli improvvisi di matrice quasi documentaristica. Il budget ridotto all’osso si riverbera necessariamente in una confezione non sempre impeccabile e nonostante un apprezzabile gusto per la composizione irregolare e luci calde che bagnano i protagonisti, il color grading volutamente livido finisce spesso per risultare piatto e slavato. Al netto di ciò, ad emergere non è qualche pecca tecnica tipica del cinema indipendente – che qui è indipendente nel senso più vero e nobile, anche se ciò traspare pure da momenti quasi amatoriali come la scena dell’esplosione di una moto – ma la forza quasi punk di uno sguardo autoriale totalmente fuori dalle convenzioni, unitamente alla grande generosità di interpreti principali che si regalano con talento e naturalezza alla macchina da presa (su tutti la bravissima protagonista Natalie Beck’s, già apprezzata per la sua impressionante trasformazione nel bellissimo Esseri di Stelle, dello stesso Giotti).
Sex Cowboys nel suo raccontare una parabola in cui dimensione privata e collettiva si fondono in modo caotico, non solo propone una storia sul superamento dei tabù, ma li sfida a sua volta; priva il pubblico di certezze ma suggerisce che, in fondo, è solo nel prenderci cura l’uno dell’altro che possiamo trovare un senso a un mondo ostile, e nel farlo mantiene un ritmo elettrico e un tono scanzonato – elementi tutt’altro che scontati in una pellicola che non vuole essere una commedia. Proporre agli esordi un cinema ‘scomodo’ e indomito, non ruffiano ma provocatorio, capace di infrangere tabù e pigre convenzioni in modo tutt’altro che gratuito, è un atto di grandissimo coraggio che da solo varrebbe ad Adriano Giotti una posizione di assoluto pregio tra i nuovi autori da tenere d’occhio.