L’incipit lascia ben sperare. Questa la prima didascalia di Colossale Sentimento, film recentemente visto nella sezione Documentari alla 34a edizione del Torino Film Festival: “Roma 1630-1640. Lo scultore Francesco Mochi realizza Il battesimo di Cristo per la chiesa di San Giovanni Battista de’ Fiorentini in Roma. L’opera, rifiutata dal committente, inizia a peregrinare di luogo in luogo per quasi 400 anni. 2016: un gruppo di visionari decide che è tempo di riportarla a casa”.
Ma alla fine degli 83 minuti di film si resta ancora in attesa di qualcosa che dovrà accadere e il contenuto della didascalia iniziale sembra solo una promessa non mantenuta. Quelle che restano impresse nella mente sono invece le immagini mozzafiato che riempiono l’occhio e lo schermo con la straordinaria fotografia in bianco e nero digitale a cura dello stesso regista Fabrizio Ferraro. Lo sfondo di una Roma deserta, taciturna, tranquilla, adagiata sul deserto notturno in cui scivolano come trasportate da un ruscello silenzioso le maestose sculture di Cristo battezzato e di San Giovanni ha una potenza così irreale da apparire non soltanto credibile ma addirittura inevitabile. Ferraro con le immagini ci sa fare, e molto, ma basta una tecnica raffinatissima e perfetta a sostenere il peso di un’intera pellicola? La risposta ovviamente è no ed è per questo che non si può non pensare che il regista abbia volutamente e scientemente voluto realizzare un prodotto provocatorio, dettato forse dal desiderio di sperimentare nuove vie cinematografiche, al limite tra l’autocompiacimento e l’anti cinema. Catalogare un film dentro i confini di un genere è comodo ma non è sempre corretto e mai come in questo caso si ha la sensazione che definire Colossale Sentimento un documentario sia operazione parziale e non del tutto vera. Al termine del film ci si può divertire ad immaginarlo al contrario, dalla fine all’inizio, e anche così avrebbero un senso le lunghe sequenze con telecamera fissa di operai che puntellano architravi, di manovre con bracci meccanici e del trasporto per le vie di Roma delle sculture.
Il risultato è puramente voluto, giacché l’obiettivo del regista, pare di capire, è stato quello di riportare la bellezza dell’immagine al centro del cinema, sottolineando questa sua priorità (forse il suo unico scopo) con la frammentazione di un’azione di cui non si hanno che pochissime informazioni, con altrettanto pochi e frammentati dialoghi in presa diretta, con un montaggio basico e minimale. Al termine della pellicola arriva in qualche modo la conferma di ciò con la parola usata per la fine del film: “finis”. Una parola latina che in tempi remoti veniva usata nelle scuole per avvisare del termine delle lezioni.
Ok, la lezione di cinema è arrivata e ci sta tutta, ma non vediamo l’ora che ne cominci un’altra per completare quello che prometteva il titolo del film: Colossale Sentimento. Per ora di colossale abbiamo visto soltanto splendide immagini e Il battesimo di Cristo è ora di riportarlo a casa anche con sentimento.
Colossale Sentimento: la recensione in anteprima
La ricerca estetica di Fabrizio Ferraro è apprezzabile ma dalle proporzioni cinematografiche tutt'altro che colossali.