Dopo il successo di Benvenuti al Sud (remake del ben più riuscito Bienvenue chez les Ch’tis di Dany Boon) e il sequel Benvenuti al Nord, il regista Luca Miniero cerca di tornare sul format con Non c’è più religione, una simpatica commedia che pur non avendo connessioni dirette con i suddetti titoli, di fatto, ne ripropone la dinamica di base. La pellicola mira infatti ancora una volta a cogliere il lato comico dell’incomunicabilità tra culture – lì regionali, qui religiose – e a sottolineare la goffaggine di un’integrazione forzata, ricorrendo questa volta a qualche forzatura di troppo anche in fase di sceneggiatura.
Claudio Bisio è Cecco, un modesto politico che dopo un’esperienza di amministratore al Nord si ritrova sindaco della piccola isola di Porto Buio, crocevia del Mediterraneo in cui – in un blando sforzo di scrittura che sfida ogni probabilità – si incontrano le culture religiose più disparate: cristianesimo, islam, buddismo ed ebraismo. Porto Buio è celebre per un presepe vivente che nelle intenzioni del regista dovrebbe essere mozzafiato (ci fidiamo), preparato con dedizione dalla comunità cattolica del luogo durante i dodici mesi che attraverseranno la pellicola. Il problema è che sul posto il tasso di natalità e allarmante, e l’unico bambino che potrebbe vestire i panni del Gesù neonato è ormai grassoccio, baffuto e in età prepuberale. Da qui la provocatoria intuizione del sindaco, destinata a fare da motore narrativo alla storia: chiedere un neonato in prestito alla nutritissima comunità islamica del luogo. Se pensate però che l’ostacolo maggiore sia il pur motivato conservatorismo degli isolani gelosi delle proprie tradizioni, non avete fatto i conti con il rapporto complicato di Cecco con Bilal (Alessandro Gassman), ex amico d’infanzia ora convertito all’Islam e punto di riferimento per gli arabi di Porto Buio.
Non c’è più religione si muove costantemente su un tono leggero, che è il vero punto di forza di questo tipo di pellicola e che la renderà un prodotto gradevole per chi, tra il grande pubblico, nei giorni di Natale eviterà come la peste i cinepanettoni più tradizionali. Come risposta alle più basse volgarità che inonderanno le sale nei prossimi giorni, infatti, il film di Miniero propone un’alternativa garbata e buonista, che non mira all’effetto comico immediato quanto a un rilassato sorriso.
L’idea di proporre una ‘parabola’ sull’integrazione in tempi nei quali l’irrazionalità e l’intolleranza stanno tirando fuori il peggio della nostra società sarebbe apprezzabilissima, se non fosse per il fatto che – nello sforzo di piacere al maggior pubblico possibile – il film finisce per rivelare apertamente la propria natura cerchiobottista. Se da una parte c’è un amministratore illuminato che cerca di riconnettere il tessuto sociale di un paesino in cui Cristianesimo e Islam sono arroccati sulla difensiva, dall’altra i toni peccano non tanto di political incorrectness (che sarebbe stata apprezzabile) quanto di qualunquismo. In questa Lampedusa comprensibilmente epurata da ogni risvolto tragico, non c’è traccia della fratellanza e della generosità dell’originale, e l’intolleranza per il diverso – espediente narrativo indispensabile – è la regola. D’altro canto il leader musulmano interpretato da Gassman è un coacervo dei più offensivi luoghi comuni e la sua gente, con una goffa strizzata d’occhio a quella fetta di pubblico politicamente più nazionalista, non solo inizialmente rifiuta l’invito all’integrazione da parte del Cristiano ma reagisce ricattando e pretendendo sempre di più. Non mancherà ovviamente modo di smussare gli angoli e fare incontrare gli opposti, ma in alcuni casi la delicatezza con cui lo script tratta il tema è quella di un elefante in una cristalleria, pur sforzandosi di mantenere un tono conciliante e buonista.
A ben vedere la pecca principale della pellicola è proprio quella di voler piacere a tutti senza parlare al cuore a nessuno, e il suddetto sforzo multiculturale di inserire anche Ebraismo e Buddismo (i cui dettagli non vi riveliamo) risulta forzato oltre i limiti del ridicolo, eppure non diverte. Detto questo, il film rimane comunque una commedia gradevole (complice la buona mano del regista e la performance di un cast solidissimo che vede tra i comprimari anche Angela Finocchiaro) che di certo può parlare a un ampio pubblico e che ha il pregio – raro, in questo periodo dell’anno – di non puntare al boccaccesco. L’unico limite è quello di voler essere un film ‘per tutte le stagioni’, anche da un punto di vista letterale: se il contesto è quello del Natale, il grosso della narrazione si svolge però tra primavera ed estate. Veramente malcelato lo sforzo di far collimare lo scheduling produttivo, la massimizzazione degli incassi con un’uscita sotto Natale e un’appetibilità televisiva nella finestra del secondo trimestre dell’anno (quello in cui probabilmente approderà sulle payTV, per le quali è un prodotto pressoché perfetto). Se volete una commedia italiana garbata da vedere in sala nei prossimi giorni, però, la scelta non può che ricadere su Non c’è più religione.