Pare d’esserci già stati nella Berlino di Berlin Station, la spy story presentata in concorso al Roma Fiction Fest di quest’anno. Creata da Olen Steinhauer e voluta da Epix (in collaborazione con Paramount TV e Anonymous Content), può contare al momento su una stagione da dieci episodi, nonostante sia già in profumo di rinnovo. Nel pilot, però, qualcosa non convince. Beninteso: la trama è accattivante, strizza l’occhio al caso Wikileaks e alle vicende di cronaca più recenti, seguendo un intreccio narrativo che corre da Washington alla capitale tedesca; qui si raccontano le vicissitudini di Daniel Miller (Richard Armitage), un agente Cia in missione a Berlino per dare la caccia ad una talpa, Thomas Shaw, complice di aver rivelato numerose informazioni segrete e di averle vendute ad un quotidiano tedesco. Una storia che potrebbe essere affascinante – addirittura scomoda – se non fosse per il fatto che, appunto, in questa Belino pare d’esserci già stati.
Lo sviluppo narrativo, la regia, persino i colpi di scena sembrano infatti essere tristemente prevedibili (scontati più che intriganti), con un racconto che, tutto sommato, lascia intravedere il finale già dai primi minuti. La scena iniziale ci obbliga ad un lungo flashback che dimostra tutte le difficoltà fronteggiate dall’agente Miller, ex analista ora ‘sul campo’, nell’affrontare il difficile mondo delle missioni sotto copertura, unica mente sufficientemente brillante e lungimirante da trovare un collegamento – un po’ forzato – tra il giornale tedesco e questo Thomas Shaw, fantomatico informatore paragonato ad Assange e a Snowden. Quella che potrebbe però essere una intrigante spy story internazionale, con loschi affari che dimostrano che tutto il mondo è paese, paga il prezzo d’essere narrata con tale semplicità da farci credere, a metà dell’episodio pilota, d’esser spettatori di una città già vista, così simile alle varie Boston o Washington in cui innumerevoli storie di spionaggio ci hanno già condotto. Non è tutto da buttare, però. Accanto ad una trama scontata, fiorisce un cast eccellente e ricco, con Armitage che viene affiancato da Richard Jenkins (Six Feet Under), che interpreta il capo della sezione tedesca Steven Frost, e da Leland Orser (E.R., X-Files, Pearl Harbour, Il collezionista di ossa) nei panni del vice direttore intelligente e di polso Robert Kirsch. A loro si aggiungono altri volti celebri del calibro di Rhys Ifans, Michelle Forbes e Richard Dillan. Ottimi ingredienti, insomma, ma la zuppa è decisamente insipida, forse anche per colpa delle aspettative che la quinta stagione di Homeland – ambientata a Berlino, ma con ben altri risultati – ci ha consegnato.
Scontate le inquadrature, assenti i colpi di scena o i momenti d’azione, lento e abbondante il pilot – in cui i personaggi si susseguono con una tale monotonia da rendere difficile affezionarsi – e pressoché nulla la profondità psicologica che, per lo meno, avrebbe giustificato l’andatura lenta. Berlin Station non è una “brutta” serie, ma una serie già vista, che non apporta nulla di nuovo al panorama delle spy stories cui i network americani ci hanno abituati da tempo. In un quadro rassicurante ma non scoppiettante, c’è da salvare un elemento, ma non per meriti della serie: la sigla iniziale, I’m afraid of Americans di David Bowie, regala ai fan e agli spettatori un’incredibile boccata di speranza, riuscendo anche nel tentativo di fornire qualche anticipo ai fini della trama. La serie, però, non riesce a reggere lo stile ed il mordente del Duca Bianco. Impresa – sia ben chiaro – non facile.
RFF2016 – Berlin Station, la recensione del pilot in anteprima
La serie di Epix con protagonista Richard Armitage, in concorso quest' anno al Roma Fiction Fest, è una spy story scontata e poco appassionante.