Onore al merito alla Disney di Bob Iger, perché se le critiche mosse ai tempi del pur bellissimo Il Risveglio della Forza (qui la nostra recensione) inerivano il poco coraggio di Abrams nel riportarci in “una galassia lontana lontana”, non si può dire che questa volta l’operazione dietro il primo spin-off della saga non sia stata coraggiosa. L’impatto sull’universo avviato da Lucas nel ’77 stavolta è fragoroso e a tutti gli effetti, dopo Rogue One: A Star Wars Story, il mondo di Guerre Stellari non sarà più lo stesso. A conti fatti, però, la scommessa è stata vinta? C’è da dire che nonostante con questa digressione monografica si sia osato in modi precedentemente impensabili, no, purtroppo la scommessa è persa: il film dell’ancora poco esperto Gareth Edwards (Monsters, Godzilla) non funziona, e nel voler raccontare qualcosa di completamente diverso – una storia di guerra – risulta ovviamente spettacolare e imperdibile (come ogni film di Star Wars), ma decisamente debole per gli standard della serie e tutt’altro che appassionante. La Lucasfilm ha puntato sul cavallo sbagliato.
Una storia di cui già sappiamo tutto, priva di ogni mistero.
Rogue One: A Star Wars Story non è direttamente collegato a nessuno dei protagonisti che abbiamo visto nella trilogia classica o in quella prequel, né è la prosecuzione della storia avviata lo scorso anno con Episodio 7. Se infatti nel narrare le vicende di Rey, Finn e Kylo Ren abbiamo ritrovato Luke, Han e Leila 30 anni dopo Il Ritorno dello Jedi, nel film ora in sala facciamo un grande salto cronologico all’indietro, andando a quando la prima Morte Nera (quella del film del 1977) era ancora in costruzione. Rogue One difatti per la prima volta non si innesta nella saga degli Skywalker ma segue una strada parallela, mettendo in scena il prologo raccontato dall’opening crawl di Episodio 4 – Una Nuova Speranza, mostrandoci così come l’Alleanza Ribelle sia entrata in possesso dei piani che hanno poi permesso al giovane Luke di distruggere la terribile arma finale dell’Impero. Una storia incentrata su personaggi sino ad ora totalmente sconosciuti, slegati dalla mitologia principale, e il cui percorso inevitabilmente già conosciamo, perché il finale di questo film è l’inizio di quello del ’77. Ma che gusto c’è a farsi raccontare una storia di cui già si sa o si può intuire tutto?
Assenti quasi tutti gli elementi che definiscono un film di Star Wars.
Con questo nuovo installment della saga lo scopo è fare al cinema quel che negli ultimi decenni è stato fatto con romanzi, fumetti e cartoni animati: esplorare orizzontalmente l’universo narrativo e raccontarne le storie minori. Un’operazione rischiosa, che può confondere gli spettatori ma che offre anche grande libertà. Come differenziare quindi la pellicola?
In Rogue One: A Star Wars Story non ci sono gli Skywalker, non c’è alcun cavaliere Jedi e non c’è l’Imperatore. Ma non c’è nemmeno (per la prima volta) John Williams a comporre la colonna sonora, non c’è il prologo scritto in giallo che ci scorre davanti e, addirittura, non c’è l’amatissimo tema che aveva sempre aperto ogni film di Guerre Stellari. Gli elementi di cui però si sente più la mancanza hanno a che fare con l’essenza più profonda della saga, e sono l’ampio respiro che l’ha sempre caratterizzata e la grande tridimensionalità che ne ha quasi sempre contraddistinto i protagonisti. In Rogue One la posta in gioco non sembra mai abbastanza alta, e nonostante dal possesso dei piani della Morte Nera dipendano le vite di milioni di innocenti, sembra che quegli schemi siano solo un banalissimo MacGuffin: un espediente narrativo senza alcun valore reale. Ad affannarsi per mettere le mani sul suddetto MacGuffin, poi, è un gruppo di personaggi scritto male e male assortito, in cui le interazioni sono forzate e spesso prive di un reale nesso causale, e in cui i chiaroscuri che dovrebbero renderli interessanti – giusto appena accennati – sembrano pretestuosi e privi di ogni contesto. Inoltre, nello sforzo fallimentare di creare un film corale, Edwards sacrifica la tridimensionalità per prediligere la compresenza di un gran numero di protagonisti, e come conseguenza non viene nemmeno scalfita la superficie di nessuno di questi, che diventano anzi pedine spersonalizzate e senza carisma, con cui è impossibile empatizzare.
Il film ha anche il grandissimo pregio di ampliare di molto l’universo narrativo di Star Wars.
Rogue One ha però anche grandi pregi, che risiedono soprattutto nella sua capacità di osare e scegliere un linguaggio cinematografico nuovo, almeno per la saga. Un lunghissimo flashback (nuovo per Guerre Stellari, se escludiamo la ‘visione della Forza’ avuta da Rey) ci accoglie in apertura, un montaggio parallelo segue diversi personaggi (qualcosa del genere l’avevamo visto solo nel finale multiplo di La Vendetta dei Sith), la fotografia richiama quella di un film di guerra (firmata dal Greig Fraser di Zero Dark Thirty), dei testi sottopancia creano il contesto e ci dicono dove siamo, e la ricostruzione digitale di qualche volto noto sorprende i fan di vecchia data (ma i risultati sono ancora ampiamente insoddisfacenti). Le novità però non abbracciano solo il comparto tecnico, ma si estendono anche a quello creativo. Vediamo finalmente il ‘castello’ di Darth Vader, scopriamo l’esistenza di una città sacra dei Jedi e di un relativo tempio (che non vedremo), rimaniamo stupiti da un viscido alieno color carne che legge la mente con i propri tentacoli rendendo folli coloro che tocca (impossibile non pensare all’erotica creatura di La Región Salvaje di Amat Escalante), vediamo per la prima volta in un film un collegamento diretto ai cartoon di The Clone Wars (l’estremista ribelle Saw Gerrera), intravediamo per la prima volta un importante personaggio senza armatura e, seppur brevemente, ammiriamo finalmente Darth Vader in tutta la sua potenza. Per non parlare di pianeti o città che hanno finalmente un aspetto decisamente nuovo, e ampliano la nostra percezione dell’expanded universe. Anche le musiche di Michael Giacchino sono riuscitissime, e nonostante il citazionismo frammentato abbia il costante fastidioso effetto di un coito interrotto, il tema che accompagna le apparizioni di Krennic è memorabile e avvincente, proprio come le partiture del miglior Williams. Tutto questo nonostante il compositore tanto caro alla Pixar si sia unito al film solo nelle ultimissime settimane, dopo l’abbandono di Alexander Desplat.
C’è però un problema di base: è paradossalmente impossibile girare un film di guerra ambientato nel mondo di Guerre Stellari.
Mao Tse-Tung diceva che “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, e noi aggiungiamo che se è davvero solo sulla guerra e sulla ribellione che si vuole concentrare lo sguardo, allora i toni non possono essere quelli di un blockbuster per famiglie. Infatti, a dispetto del titolo della saga, quelli di Star Wars non sono mai stati film di guerra, bensì d’avventura. E c’è una bella differenza.
I film di guerra, quelli veri, hanno toni profondamente drammatici, il più delle volte sono pervasi da un diffuso senso di nichilismo e ripropongono un dolore che possiamo direttamente ricondurre all’esperienza storica e, quindi, a quella personale. Viene quindi da chiedersi come Kathleen Kennedy, la presidente della Lucasfilm, abbia potuto pensare che l’avventura di un gruppo di piloti spaziali animati dalla speranza, in un universo da sempre adatto a grandi e piccini, potesse far leva sulle stesse leve di un dramma bellico. Guerre Stellari, con il suo meraviglioso circo di alieni, astronavi, droidi e spade laser, è il punto d’incontro ideale tra l’epica e l’intrattenimento; ma quanti film di guerra che facessero leva sull’intrattenimento avete visto in vita vostra? Non sono certo all’ordine del giorno.
L’impressione è che, nel voler mettere in scena quanto raccontato nell’opening crawl di Una Nuova Speranza, si sia voluta mettere in atto un’arida operazione commerciale, che ammicca in modo stucchevole e grossolano ai fan (con una smaccata ruffianeria costruita con citazioni, camei e caratterizzazione dei personaggi) e che al contempo fallisce dove invece aveva eccelso Il Risveglio della Forza, cioè nel trasmettere un profondo amore per la saga. Al contrario, Rogue One è un film completamente senza anima. Addirittura nei momenti che potrebbero essere tra i più emozionanti dell’intera filmologia starwarsiana, quelli che raccontando un punto di non ritorno dovrebbero riportare alla mente la scellerata distruzione dei siti archeologici di Nimrud da parte dell’Isis, quel che prevale è una certa indifferenza. Un problema di script non di poco conto.
A lasciare l’amaro in bocca, poi, interpretazioni deludenti e un doppiaggio criminale.
Il cast del nuovo Guerre Stellari è notevole. Felicity Jones, Ben Mendelsohn e Forest Whitaker sono i nomi più autorevoli di un’ampia rosa di interpreti. Eppure, proprio a partire da loro, il film non funziona. La Jones è una scelta di casting opinabile, e con quel viso bellino poco si presta al ruolo di canaglia scavezzacollo che dovrebbe affidarle il copione. Mendelsohn invece, tanto memorabile in Bloodline, qui non emerge quanto ci saremmo aspettati, e più che un villain temibile sembra uno zelante burocrate. Infine – e qui c’è da rimaner davvero stupiti – il grandissimo Forest Whitaker si produce in un’interpretazione risibile, probabilmente la peggiore della sua carriera, con delle faccine gigionesche che finiscono per strappare risate quando invece vorrebbero innalzare la posta emotiva. Un’ultima parola, poi, va inevitabilmente riservata al doppiaggio. Una delle più grandi tradizioni cinematografiche italiane, della quale andare assolutamente orgogliosi, in linea di massima. Ma qui, complici probabilmente i tempi ristrettissimi e una censura in sala di registrazione di quelle capaci di tarpare le ali a ogni slancio artistico, il risultato è a dir poco criminale e alcuni degli interpreti consegnano una performance macchiettistica e costantemente non in sintonia con le emozioni della scena, che sia per eccesso o difetto.
In conclusione, vi possiamo dire che Guerre Stellari è sempre Guerre Stellari, quindi per quanto ci riguarda è impensabile non invitarvi a correre in sala a vederlo. Però questa prima Star Wars Story ci ha molto delusi e se da una parte promette sterminati terreni creativi che non vediamo l’ora vengano esplorati, dall’altra sembra scordarsi cosa sia davvero la saga: avventura, emozione e mistero. Ma la direzione è quella giusta, e le storie da raccontare in futuro non mancano. L’era degli spin-off è iniziata.