Quando si parla di qualità, il network inglese Channel 4 è una garanzia assoluta: la rete più provocatoria d’Inghilterra in questi anni ha tirato fuori dal cilindro serie importanti e innovative come Utopia, il trittico LGBT Cucumber – Banana – Tofu ma soprattutto il capolavoro Black Mirror; ecco perchè c’era molta curiosità attorno a National Treasure, un television drama diviso in quattro puntate presentato in concorso al Roma Fiction Fest 2016.
National Treasure è incentrato sulle vicissitudini di un popolare comico inglese.
Paul Finchley (Robbie Coltrane) è un comico talmente amato dal pubblico che viene addirittura considerato un “patrimonio nazionale”. Le cose per lui procedono tranquille quando però viene improvvisamente travolto dall’accusa di aver molestato sessualmente una ragazza quindicenne diversi anni prima e da qui in poi la sua vita si trasformerà in un vero e proprio inferno.
La serie è ispirata a fatti realmente accaduti in Inghilterra.
Nell’ottobre del 2012, nella terra d’Albione, partì la cosiddetta “Operazione Yewtree”, un’inchiesta che portò all’arresto di moltissime personalità dello spettacolo britanniche per pedofilia e molestie sessuali nei confronti di minori: è da questo scandalo che lo sceneggiatore Jack Thorne (che ha lavorato in serie come Skins, Shameless UK e This Is England) ha preso spunto per la scrittura di National Treasure. Il pilot, diretto splendidamente da Marc Munden (regista di molti episodi del cult Utopia), dipinge un protagonista molto ambiguo ed oscuro: dietro alla facciata del comico bonario e rassicurante, interpretato in modo magistrale da Robbie Coltrane (grande attore divenuto famoso per il ruolo di Hagrid in Harry Potter), si nasconde una personalità molto complessa; Finchley infatti tradisce ripetutamente la moglie Marie (Julie Walters) con delle prostitute, guarda su Internet molti video porno violenti e ha una figlia, Danielle (Andrea Riseborough), in cura per disintossicarsi dalla droga (da come racconta i suoi sogni, sembrerebbe che la donna abbia subìto un trauma quando era piccola). Tutti questi indizi tracciano il ritratto di un potenziale mostro, ben diverso da quello del marito esemplare e nonno di famiglia che nel corso degli anni il comico ha costruito per l’opinione pubblica e lo showrunner gioca con lo spettatore perché nessuno, all’inizio, potrebbe aspettarsi mai che un uomo del genere possa essersi macchiato di questi orribili reati ma, grazie ad una tensione quasi hitchcockiana, mano a mano che il pilot procede comincia impietosamente a tirare fuori tutti i suoi scheletri dall’armadio, facendoci sentire quasi sporchi dentro (nonostante godiamo ancora del beneficio del dubbio). Altro argomento centrale dello show è quello della gogna mediatica, quel meccanismo perverso che porta i vip a dover rispondere delle proprie (e presunte) malefatte non soltanto ad un normale tribunale ma, soprattutto, ad una “giuria” pubblica molto più cinica e spietata (e nel paese dei tabloid, questo è un problema serio); gli inglesi sono dei maestri (più degli americani) nell’affrontare queste storie così politicamente scorrette e non è un caso che la giuria della kermesse, presieduta da Richard Dreyfuss, abbia voluto dare a National Treasure il Premio Speciale della Critica e il premio al miglior attore.
Sarà molto difficile vedere in Italia lo show di Channel 4 (ancora è inedito nel nostro paese Utopia!) ed è per questo motivo che bisogna riconoscere il lavoro di rassegne come il Roma Fiction Fest: senza di loro non sapremmo neanche l’esistenza di molte di queste straordinarie perle, assolutamente meritevoli di far parte anche del nostro palinsesto televisivo.