(l’articolo contiene alcuni spoiler sulla puntata precedente di Sherlock, la prima della quarta stagione)
Sherlock è tornato, e l’ha fatto in grande stile. Ad una settimana esatta da The Six Thatchers, la serie firmata da Steven Moffat e Mark Gatiss per BBC One e trasmesso in Italia su Netflix, torna ad emozionare il pubblico del piccolo schermo con l’episodio The Lying Detective, di gran lunga tra i più coinvolgenti ed entusiasmanti fino ad oggi trasmessi. All’indomani della tragica scomparsa di uno dei personaggi più amati, avvenuta negli ultimi istanti del primo episodio della nuova stagione, troviamo uno Sherlock Holmes allucinato, visionario, sconvolto e – questa pare essere la cosa più sorprendente – umano. Impegnato a metabolizzare un lutto ed un senso di colpa troppo grande persino per lui, nuovamente dedito alle più svariate droghe, il detective si trova a gestire un caso intricato e nebuloso, diviso tra Culverton Smith (Toby Jones), un ricco filantropo dal profilo sinistro, e ricordi più o meno nitidi, più o meno veritieri, in bilico tra l’allucinazione e la vita reale. Raccontare la trama senza fare spoiler è pressoché impossibile, ad ulteriore riprova di quanto questo episodio – che a differenza del precedente vede la firma di Steven Moffat, noto ai fan di Doctor Who come autore delle più strazianti ed intricate vicende del Time Lord – sia perfettamente equilibrato tra narrazione e colpo di scena, con dialoghi che accarezzano la dolcezza più estrema e la crudeltà più efferata.
The Lying Detective è un’avventura su un ottovolante spericolato, e spesso i minuti non saranno sufficienti a recuperare il fiato, immediatamente interrotto da un nuovo colpo di scena. Soluzione, questa, che in parte giustifica l’andatura lenta – e molto poco sherlockiana – del primo episodio, necessario – ora è evidente – a gettare le basi per una seconda puntata più drammatica e dinamica. Accanto ad una trama avvincente, poi, troviamo un Benedict Cumberbatch in gran forma, che dà prova di capacità interpretative notevoli. Sherlock si dimostra per la prima volta realmente sentimentale, preoccupato e commosso, senza tuttavia perdere la megalomania e l’egocentrismo, sue caratteristiche fondamentali. Completamente fuori controllo, in balia delle sostanze più disparate e schiacciato dal peso delle proprie deduzioni, si lascia andare ad un’ottima interpretazione di un passaggio dell’Enrico V di Shakespeare, permettendo a Cumberbatch di dar prova di grande bravura: interpretare il Bardo non è mai una passeggiata, ma farlo con il compito di sembrare anche sotto droghe pesanti è ancora più complesso. Accanto a lui, ma lievemente inferiori, i soliti compagni di avventura, da John Watson (Martin Freeman) a Mycroft Holmes (Mark Gatiss), che tuttavia vengono leggermente oscurati dalla bravura di Cumberbatch. Un grande aiuto arriva anche dalla regia, che si lascia andare ad inquadrature inusuali, caotiche e sfumate, perfette per rendere lo stato di alterazione della realtà che il protagonista, volente o nolente, vive. Più sorprendente ancora della ritrovata dipendenza, tuttavia, è la svolta “umana” di Sherlock, che solo a tratti mostra il caro, vecchio cinismo cui ci aveva abituati. Gli avvenimenti de The Six Thatchers hanno lasciato un segno indelebile – parrebbe definitivo – e il detective di Baker Street si scopre, forse per la prima volta, dotato di una profonda scorta di sentimenti umani: Sherlock si commuove, Sherlock si sente impotente, Sherlock si mostra colpevole. In una escalation che va di pari passo con la dipendenza, Sherlock dà prova di coraggio e follia, senza essere mai abbandonato da un cervello ingombrante e geniale. In attesa del terzo ed ultimo episodio della stagione – che parte con premesse quantomeno elettrizzanti e che sarà disponibile in Italia dalla mezzanotte del prossimo lunedì – ci troviamo ad assistere ad un piccolo capolavoro, confusionario eppure con un gran filo logico, cupo eppure delicatissimo, commovente eppure brillante. Signori, Sherlock Holmes è tornato. The game is on.