Giovedì 19 Gennaio arriva nelle nostre sale Dopo l’amore, il nuovo film di Joachim Lafosse. Dopo Proprietà privata (2007) e Aimer a perdre la maison (2011) questo giovane regista belga, molto amato dalla critica francese, torna ad analizzare la famiglia e le sue dinamiche, scegliendo un punto di vista particolarmente drammatico: la fine del matrimonio tra due persone che, per ragioni economiche, devono continuare a vivere sotto lo stesso tetto.
Marie (Bérénice Bejo) e Boris (Cédric Kahn) avevano investito tutto su quella casa: risparmi, aspettative e sogni. Ma quando il film comincia, dei loro 15 anni d’amore non c’è più traccia. Restano le bambine, due gemelle di 7 anni, e la casa che nessuno dei due è disposto ad abbandonare. Le mura domestiche si riempiono allora di litigi e recriminazioni, ultimatum e silenzi.
Se lei ha anticipato i soldi, anche grazie all’aiuto della sua famiglia, lui si è occupato della ristrutturazione: quello tra loro diventa un conflitto senza tregua, dove le stesse accuse si ripetono ossessivamente.
Queste le premesse di Dopo l’amore, un film che Joachim Lafosse ha scelto di girare quasi come un documentario. Una scelta di realismo radicale, inteso come tranche de vie: la casa resta l’unico scenario del film, mentre la steady-cam è impiegata come una spia, che regista il dramma in tempo reale.
Dimenticate digressioni, flashback, monologhi interiori: l’unico tempo è qui e ora, mentre la regia diventa quasi trasparente. Un approccio che rimanda proprio al documentario, e quella scuola storicamente detta “mosca sul muro” (“fly on the wall”). Il risultato è un film straniante, dove le ragioni degli altri restano un mistero, come sostanzialmente accade nella realtà. Entrambi i protagonisti ci appaiono insieme vittime e carnefici, mentre siamo costretti a rivedere costantemente le nostre impressioni sulla ragione e sul torto. In fondo, tanto Marie quanto Boris ci sembreranno ugualmente odiosi, persi nella loro dinamica di ripicche, rappresaglie e litigi infiniti, dimenticando proprio le loro figlie, le gemelle, costrette a vivere al centro di una guerra che non hanno gli strumenti per comprendere.
Scopo del film di Joachim Lafosse è interrogarci sulla società contemporanea, dove la precarietà ha cambiato sostanzialmente anche il modo di vivere le relazioni. Coabitazioni forzate, come quella raccontata da Dopo l’amore, sono tornate sempre più frequenti, in un passaggio storico dove sembra quasi scontato non riuscire a trovare una dimensione, se non passando attraverso il sostegno economico dei genitori.
Fin qui, tutto bene: le premesse del film di Joachim Lafosse sono certamente interessanti. Eppure, facciamo fatica a capire il senso di un film che si limita a restituire l’angoscia di un conflitto senza via d’uscita. Casa e soldi, soldi e casa: non conosceremo altro dei desideri e i sentimenti di questi personaggi.
Certo, Bérénice Béjo e Cédric Kahn offrono in Dopo l’amore un’interpretazione di prim’ordine; ma non basta la loro assoluta devozione ai personaggi per salvare un copione che si fa presto superficiale e ripetitivo. Si tratta indubbiamente di una scelta deliberata: la sensazione più dolorosa per chi sperimenta la fine di un amore è proprio vedere il dialogo che muore, e diventa solo la ripetizione sempre più rabbiosa degli stessi argomenti. Ma a parte la riproduzione in scala di questa sensazione orrenda, sembra che il film di Joachim Lafosse abbia davvero poco da offrire.
Chi si aspettava un nuovo Scene da un matrimonio (il capolavoro di Ingmar Bergman che disseziona la dinamiche più intime della coppia, in particolare la violenza della separazione) resterà amaramente deluso. A meno che non abbiate una speciale predilezione per il tedio, Dopo l’amore non va oltre la superficie dell’incomunicabilità, lasciandoci con l’amaro in bocca.