Ernst Lossa è un orfano di tredici anni: vivace, molto intelligente ma disadattato, si ritrova costretto a vivere in una struttura psichiatrica proprio per la sua natura ribelle. Confinato tra le mura ostili dell’istituto scopre nuove amicizie ma, quando comprende il terribile scopo del medico nazista Dr. Veithausen (Sebastian Koch), ‘legalmente’ abilitato all’uccisione dei suoi pazienti, Ernst decide di opporre resistenza aiutando i compagni ignari di tutto e pianificando una fuga insieme a Nandl, il suo primo amore. Nella Germania del Sud dei primi anni ‘40 si assiste così alla storia vera di un Davide contro Golia, un giovane eroe che con la sola forza della sua innocenza riuscirà a salvare la moralità dove sembrava ormai persa per sempre.
Di film ambientati nella Germania nazista ne è pieno il mercato, e tra questi poche brillano per originalità. È difficile trovare un’opera che possa emergere dal mare magnum di cui sopra, come il recente Il Figlio di Saul di László Nemes o il bellissimo e struggente Rai – Paradise di Andrej Končalovskij, presentato alla 73ª edizione della Mostra di Venezia e proposto all’Academy per la categoria “miglior film straniero” agli Oscar 2017. Due registi (l’uno ungherese, l’altro russo) che coraggiosamente hanno superato il linguaggio canonico per offrire al pubblico qualcosa che andasse al di là della semplice resa a schermo di un genere tanto abusato, qualcosa di profondo ed estremamente delicato nella crudeltà di un momento storico che è ancora oggi doveroso ricordare.
Ecco, Nebbia in Agosto nonostante gli ottimi propositi del suo regista Kai Wessel di dare voce alle vittime del massacro nazista, è un film che si pone a metà strada tra il discreto e il sufficiente senza mai tentare di oltrepassare i confini narrativi propri del romanzo da cui è tratto.
La storia sconvolgente di Ernst Lossa, reso immortale dalla penna di Robert Domes e interpretato qui dall’esordiente Ivo Pietzcker, è certamente una pagina della vasta narrativa sul nazismo che meritava una degna trasposizione a schermo; ma la semplice messa in scena dei fatti, seppur rigorosa e affidata ad una mano esperta come quella del tedesco Wessel, non basta nella realizzazione di opere cinematografiche di questa caratura. Perché se da un lato il film convince nella rappresentazione delle pratiche disumane perpetrate dai medici nazisti verso le loro vittime e nella descrizione storiografica delle vicende, dall’altra è manchevole di un approfondimento psicologico nei personaggi, le cui azioni risultano spesso discutibili e forzate a fini di trama. Inevitabilmente il racconto risulta sterile, privo di uno sviluppo empatico tra spettatore e protagonista e a nulla valgono le ottime prove attoriali per rivalutare un film che fatica a coinvolgere emotivamente.
Nonostante un linguaggio di macchina elegante e scelte cromatiche interessanti, che acuiscono il senso desolante e asettico della struttura ospedaliera, Nebbia in Agosto si rivela in definitiva un film prettamente didascalico, una storia vera ma senz’anima che con la sua narrazione lineare e superficiale ci ricorda molto – troppo – una moltitudine di lavori già visti. Inoltre la cornice del secondo conflitto mondiale, durante lo svolgersi degli eventi, è ingiustificatamente assente, ridotta al semplice contesto quasi ininfluente di una storia già vista.
La pellicola è stata insignita del premio della giuria CGS “Percorsi Creativi” al Giffoni Film Festival, e forse è proprio un target particolarmente giovane quello che può apprezzare maggiormente i toni di Nebbia in agosto: un pubblico più ricettivo verso il linguaggio ‘didattico’, che per questioni anagrafiche ha visto meno pellicole di questo genere e che difficilmente apprezzerebbe la ricchezza artistica di opere più ambiziose. Chiunque cerchi un capolavoro sui suddetti temi, però, guardi altrove.
Nebbia in agosto: la recensione in anteprima
Ai tempi del nazismo, la storia vera di un medico degli orrori e di un tredicenne ribelle. Premiata al Giffoni, la pellicola segue strade già battute.