Il ritorno di Homeland sul piccolo schermo con la sua nuova stagione (la sesta, per la precisione) pare che non stia generando l’hype di altre serie, ma è importante scriverne: sia perché in Italia è uno dei prodotti seriali più sottovalutati degli ultimi anni (insieme a The Americans), sia per la caratteristica unica e quasi antologica con cui il suo immaginario segue i fatti dell’attualità legati alla lotta al terrorismo internazionale condotta dai servizi di intelligence americani. Ogni stagione di Homeland, pur nel solco del proprio universo narrativo, è potenzialmente una cosmo a sé: i protagonisti e il topic di riferimento restano gli stessi, mentre nel corso degli anni nella serie ideata da Howard Gordon and Alex Gansa sono cambiate i contesti, le location e le tante pedine coinvolte in uno dei giochi più appassionante del mondo, quello della spy-story.
Dove eravamo rimasti
Avevamo lasciato la quinta stagione di Homeland a Berlino dove la protagonista “Carrie” Mathison (Claire Danes), pur non lavorando più alla CIA, si era ritrovata suo malgrado coinvolta in trame e sottotrame spionistiche (e contro-spionistiche) per evitare un attentato dell’ISIS organizzato nella capitale tedesca. Berlino è stata poi realmente colpita da un attentato lo scorso dicembre quando un camion si è lanciato contro i mercatini di Natale. Di questo non c’è da meravigliarsi, perché gli autori di Homeland piace un sacco ammiccare con la realtà, elaborarla nel proprio script manco fossero davvero in contatto con gli uffici centrali della CIA e provare a tirare a indovinare dove tirerà il vento: qualche volta ci riescono in un modo spaventosamente profetico. La sesta stagione riprende da lì, ma ritorna in madrepatria, a New York, dove Carrie riveste un doppio ruolo. Da una parte è coinvolta in una fondazione per difendere i diritti civili dei musulmani contro gli abusi indiscriminati nella lotta all’Islam radicale (diventando quasi la nemesi della Carrie patriottica e paranoica che abbiamo conosciuto nelle prime stagioni) e dall’altra accetta finalmente il suo ruolo madre, crescendo da vicino la piccola Frannie che gli ha lasciato in eredità lo scomparso Brody (Damian Lewis), il marines che fino alla terza stagione ha rivestito un ruolo cruciale nel rapporto di Carrie. Proprio la “questione Brody”, dicono i rumors, potrebbe ritagliarsi un ruolo importante in questa stagione (“almeno in un episodio”, hanno confermato gli autori). Staremo a vedere.
Il declino di Quinn
C’è ancora Saul Berenson (Mandy Patinkin), tornato a lavorare a pieno regime per Langley a fianco del machiavellico Dar Adal (F. Murray Abraham) e qualcuno avrà tirato un respiro di sollievo vedendo nelle primissime scene fare capolino anche l’agente Peter Quinn (Rupert Friend) in un reparto di riabilitazione ospedaliera: il suo destino alla fine della quinta stagione non era affatto scontato e buona parte delle premiere si focalizza proprio sul suo profilo psicologico e fisico, devastati entrambi dal coma dal quale si è risvegliato ma dal quale pare ancora non essersi ripreso totalmente. È un Quinn profondamente in declino nel corpo e nella mente, dipendente e stordito dalle droghe e costantemente ossessionato dai suoi fantasmi che sembra aver assorbito – come attraverso un passaggio di osmosi – le instabilità mentali che erano proprie di Carrie. Invece di contraccolpo la protagonista di Homeland mai come ora pare serena, lucida e convinta del suo nuovo percorso civile e professionale: lo dimostrerà prendendo a cuore sia la vicenda umana di Quinn sia la vicenda giudiziaria di un giovane musulmano arrestato e accusato di proselitismo fondamentalista.
Una Presidente donna
Sullo sfondo l’incipit narrativo ci presenta anche un nuovo personaggio: si tratta della Presidente eletta degli Stati Uniti Elizabeth Keane interpretata Elizabeth Marvel: alcuni vedendola avranno un deja-vu in quanto la Marvel era la stessa che voleva diventare Presidente in House Of Cards sfidando alle primarie Frank Underwood (Kevin Spacey), ma alla Casa Bianca ci arriva solo in Homeland. In questo caso è singolare notare come la Presidente donna (che nella serie sta per insediarsi proprio il 20 gennaio) è probabilmente un altro ammiccamento con la realtà imbastito dagli autori della serie che hanno dato per scontato (come tutto il mondo del resto) l’elezione di Hilary Clinton alle ultime elezioni presidenziali vinte poi invece Donald Trump. Ma il succo non cambia, perché il rapporto tra la Keane e la CIA rimane identico per problematiche e sfumature a quello che abbiamo letto sui giornali dopo l’elezione di Trump: anche in questo caso viene innescata una tensione fra i servizi e il loro Comandante in capo, che come donna e madre cova un lutto mai elaborato, la morte di un figlio durante i combattimenti in Iraq per la quale sembra incolpare proprio la politica della CIA: per questo Saul e Dar Adal rischiano di essere esautorati nelle funzioni e nei poteri proprio dal loro Presidente.
Di più la prima puntata non ci dice. In piena coerenza con le precedenti stagioni anche questa nuova serie di Homeland pare partire da lontano, pazientemente, senza svelare troppo quello che gli autori hanno riservato per il pubblico e preferendo introdurre personaggi e psicologie. Ma come accade per le montagne russe l’inerzia iniziale è solo apparente: ci aspetterà, c’è da scommetterci, una stagione al solito piena di capovolgimenti narrativi e colpi di scena, nella quale le dinamiche del thriller politico (ancora prima che quelle della lotta al terrorismo) potrebbero prendere il sopravvento su tutto il resto. Dall’altra parte in un’epoca in cui la realtà politica statunitense sembra essere tornata a parlare con toni da guerra fredda e sulla quale si sfornano ormai quotidianamente vicende di spie e contro-spie, Homeland ha la strada spianata per diventare una delle serie più paradigmatiche dei tempi che stiamo vivendo. Sempre che la realtà dei fatti non superi la trasfigurazione della realtà stessa. Per vedere la serie in Italia dovremo aspettare marzo.