Quando l’esordiente Sidney Sibilia arrivò nelle nostre sale con Smetto Quando Voglio (2014), l’accoglienza fu clamorosa. Un coro unanime di lodi da parte di pubblico e critica salutarono quel debutto straordinario: una commedia dall’ottimo cast che però, a ben vedere, era anche un rip-off in chiave comica del soggetto di Breaking Bad. L’idea di un gruppo di ricercatori che si reinventano produttori di smart drugs per sbarcare il lunario colpì però con grande efficacia l’immaginario di un’Italia alle prese con una crisi economica da far tremare le vene ai polsi, facendo sì che in quel film, attraverso la risata e il paradosso, potessimo in qualche modo rivedere noi stessi.
Sarebbe stato un peccato mandare perso tutto il patrimonio di quel film, ovviamente in termini economici ma anche e soprattutto creativi, eppure la storia era tanto autoconclusiva da rendere pressoché impossibile un sequel. Così Sibilia si è chiuso in una stanzetta con Francesca Manieri (Vergine giurata, Veloce come il vento) e Luigi Di Capua (The Pills) e ha confermato il proprio grande talento riuscendo nella difficilissima impresa di espandere l’universo narrativo del primo episodio in ben due sequel, creando di fatto una trilogia che è produttivamente e creativamente del tutto inedita per il mercato italiano.
Smetto quando voglio – Masterclass è infatti solo il secondo episodio di una terna che si concluderà con Smetto quando voglio – Ad honorem (la cui data di uscita non è ancora stata annunciata) e porta quello che è diventato un franchise in una direzione completamente diversa. Sull’onda probabilmente anche del ‘caso’ Lo chiamavano Jeeg Robot, la storia going into business in salsa criminale del primo film si trasforma in una action comedy dai toni quasi supereroistici e il talento registico di Sibilia ne esce non solo confermato ma addirittura rafforzato.
I protagonisti, ad eccezione di un paio di aggiunte, sono gli stessi del precedente installment e già solo il cast sarebbe un ottimo motivo per andare in sala. Sembra infatti che ci sia un’intera generazione di ottimi interpreti a dividersi – con un equilibrio quasi miracoloso – il tempo sullo schermo: Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Lorenzo Lavia, Pietro Sermonti, Marco Bonini, Rosario Lisma, Giampaolo Morelli, Luigi Lo Cascio, Greta Scarano e Valeria Solarino. Questa volta la ricetta magica è nel parodizzare e relativizzare le vicende del ben più serioso Suicide Squad, dal momento che la banda capitanata da Pietro Zinni viene segretamente arruolata dalle forze dell’ordine per intercettare tutte le nuove smart drug – quegli stupefacenti basati su molecole ancora non registrate e il cui uso non è quindi legalmente punibile – prodotte e smerciate sulla piazza di spaccio romana. Un team di ‘cattivi’ che si ritrova a combattere dalla parte dei buoni, e che durante il film arriverà ad avere addirittura delle armi high-tech, dei veicoli speciali (non temete, il risultato è narrativamente accettabilissimo e soprattutto esilarante) e, probabilmente, un villain principale.
Il budget di 2 milioni del primo episodio è un lontano ricordo, dato che questi due sequel sono stati girati in contemporanea (operazione già vista con le grandi produzioni americane, dai sequel di Matrix alla trilogia de Il Signore degli Anelli) e che Fandango di Procacci, Gröenlandia Film di Matteo Rovere (la cui esperienza registica con le corse di Veloce come il vento è di certo tornata utile qui nella scena dell’inseguimento col treno) e Rai Cinema hanno investito la bellezza di 10 milioni di Euro, dando a Sibilia la responsabilità di produrre un film ad altissimo budget per il mercato Italiano. Si pensi che Lo chiamavano Jeeg Robot è stato girato con 1 milione e 700 mila Euro.
La pellicola scorre magnificamente, l’azione (molta) è gestita in modo impeccabile, lo script è solidissimo e la gestione dei tempi è quasi perfetta – al massimo possiamo segnalare qualche taglio di troppo sul personaggio di Giampaolo Morelli, che probabilmente avrà più spazio nel terzo episodio. A convincerci meno è stata l’interpretazione di Greta Scarano, altrove perfettamente in parte ma qui decisamente non al suo meglio, e la fotografia di Vladan Radovic, che riprende il color grading ultrasaturo del primo episodio consegnandoci una colorazione dell’immagine indecorosa e amatoriale, di quelle che ci aspetteremmo dall’ultimo dei principianti, riuscendo però altresì a contribuire brillantemente a illuminazione e inquadrature.
In conclusione Smetto quando voglio – Masterclass è un film da non perdere, che non deluderà né i fan del primo film né i nuovi spettatori e che soprattutto ci dimostra come ci sia una nuova generazione di cineasti pronta a far fare al ‘cinema di genere’ italiano un bel salto di qualità. E sappiatelo: usciti dalla sala non vedrete l’ora di vedere il capitolo conclusivo: il cliffhanger finale genera un hype degno dei blockbuster hollywoodiani.
Smetto Quando Voglio – Masterclass: la recensione (no spoiler)
Sidney Sibilia trasforma la banda del primo film in un'esilarante 'suicide squad', realizzando una action comedy imperdibile.