Long Beach, California. Il sole, la spiaggia, l’oceano. Il luna park, il pontile, le insegne luminose. È qui che vive Billy McBride. Con ai piedi un paio di Vans imbrattate, i tatuaggi sulle braccia e il viso sciupato, Billy trascorre le giornate tra la camera di un motel e il bar a pochi metri di distanza e, tra un goccio di whisky e l’altro, è un avvocato d’ufficio. Proprio al termine di uno degli incontri con la madre di un suo giovane assistito – di cui non ricorda il nome – il legale viene affiancato dalla bionda e prorompente Patty Solis Papagian, che gli propone di lavorare insieme ad un caso: la morte di un ingegnere, archiviata come suicidio, celerebbe in realtà un omicidio il cui mandante sarebbe la Borns Technology, la società produttrice di armi per la quale l’uomo lavorava.
È questa la premessa di Goliath, la nuova miniserie di Amazon che porta la firma di David E. Kelley e John Shapiro – già autori tra gli altri di Ally McBeal e Boston Legal – con protagonista Billy Bob Thornton, che ritorna in tv due anni dopo Fargo.
Sulla carta niente di nuovo: si ritrovano qui tutti gli stereotipi del legal drama, dal semplice cittadino che sfida la potente multinazionale in cerca di giustizia, alla ricerca delle prove e dei testimoni, gli scontri in tribunale e l’inevitabile entrata in scena dei valori morali riguardanti non solo il singolo caso, ma l’eterna lotta tra il bene e il male insinuata nella nostra società.
Viene allora naturale chiedersi se avessimo bisogno di un’altra narrazione di questo genere, che all’apparenza non aggiunge nulla di originale al panorama televisivo contemporaneo. Se a primo impatto la risposta è uno scettico no, dopo la visione si trasforma in un più che convinto sì, ed è merito della caratterizzazione dei personaggi, in modo particolare del protagonista.
L’avvocato McBride può essere definito a pieno titolo un anti-eroe non convenzionale: è divorziato e alza un po’ troppo il gomito, ma riesce a mantenere un rapporto abbastanza civile sia con la moglie che con la figlia adolescente, e non lo si vede mai perdere del tutto il controllo in balia dei fumi dell’alcool. Nonostante parli con un cane randagio, abbia una prostituta come assistente e guidi una vecchia Mustang rossa tutta sgangherata, quando gli viene proposto di lavorare ad un caso complesso per ottenere giustizia, lui non si tira indietro. Gli impedimenti volti a fargli terra bruciata intorno non lo faranno dubitare nemmeno per un secondo ed anzi, quando si parla di milioni di dollari per patteggiare ed evitare il processo in aula lui rifiuta senza ripensarci, consapevole che in ballo ci sia qualcosa di molto più grande ed importante; e in effetti si scoprirà che la difesa della multinazionale accusata è affidata nientedimeno che alla Cooperman&McBride, lo studio legale che Billy aveva contribuito a fondare quando ancora era un professionista serio e prestigioso, prima di essere gentilmente sbattuto fuori a calci. Ciò che muove il protagonista non è solo il suo amore per la legge – come da lui stesso dichiarato – ma anche una celata voglia di riscatto.
Il palcoscenico dell’aula di tribunale vede contrapporsi da una parte Billy nei panni di Davide, il piccolo uomo, la nullità, e dall’altra la schiera dei giganti, guidati da Donald Cooperman, l’unico vero Golia della situazione: dalla penombra del suo studio accessibile solo a pochi fidati, l’uomo manipola i collaboratori, segue la costruzione della difesa passo a passo con delle telecamere nascoste ed è disposto a tutto pur di vedere il vecchio socio fallire.
Il centro nevralgico della serie è senza dubbio Billy Bob Thornton. Grazie ad un’interpretazione piatta ma contemporaneamente intensa e credibile (il Golden Globe per il miglior attore in una serie drammatica non è stato una follia), porta sullo schermo un personaggio in bilico tra la sua caduta definitiva e l’accettazione priva di drammi di sé e dei suoi fallimenti, senza mai sfociare nel cliché del genio imbattibile sul lavoro ma arrogante e intrattabile nella vita.
Alla sua si aggiungono le ottime performance del resto del cast, tra cui spiccano quella della già citata Patty interpretata dalla vincitrice del Tony Award Nina Arianda e quella di Donald Cooperman, impersonato dal Premio Oscar William Hurt, che ci regala un personaggio intimidatorio e subdolo, ai limiti del viscido e inquietante.
Distribuita in otto episodi, la serie non ha tempo per dilungarsi disperdendosi in trame secondarie, l’interesse dello spettatore è guidato da inaspettati colpi di scena che rendono la visione coinvolgente, ma l’attenzione non è mai distolta dall’esito della battaglia processuale finale.
Del resto, lo dice anche la canzone dei The Silent Comedy utilizzata nella sigla: “no matter what you do, you’re gonna learn the truth”.
Goliath: la recensione della nuova serie con Billy Bob Thornton
Il legal drama degli Amazon Studios convince pubblico e critica senza strafare.