Dal 6 febbraio torna in sala, grazie al solito magistrale lavoro della Cineteca di Bologna, il capolavoro del 1963 di Jean-Luc Godard Le Mépris: il film che segna l’entrata nel cinema d’autore di Brigitte Bardot e ne consegna alla storia l’immagine d’apertura, indimenticabile, dell’attrice nuda sul letto, sdraiata prona a conversare con Michel Piccoli. Pochi autori sono stati in grado di trasferire sul grande schermo il genio esistenziale di Moravia; probabilmente solo due, Bertolucci con Il conformista e Jean-Luc Godard. Ma mentre il primo si è attenuto di più al testo, il secondo ha preso i tratti fondamentali e li ha mutati, trasformati e ha portato alla luce un lavoro che sembra più una collaborazione che una trasposizione. Con Il disprezzo, infatti, il regista francese ci ha regalato la più sensuale e sublime riflessione sul cinema stesso che sia mai stata fatta.
Nell’arco di due giorni, assistiamo al collasso del matrimonio di Paul Javal, sceneggiatore di gialli contattato da un ricco produttore chiamato Prokosch per scrivere un film sull’odissea da far dirigere a Fritz Lang, con Emilia, la sua giovane moglie a cui è legatissimo.
Le trame moraviane sono notoriamente sottili, poiché al centro del pensiero dello scrittore romano vi è l’esistenziale riflessione sulla realtà e sulla crasi che è avvenuta fra essa e l’essere umano nel ‘900. L’uomo non riesce più a rapportarsi con l’esistenza in modo diretto ma ha bisogno di filtrarla continuamente, attraverso nuovi elementi. Ne Il disprezzo (romanzo), per esempio, il protagonista accetta di scrivere la sceneggiatura solo ed unicamente per sua moglie e comincia quindi a titubare appena sospetta di un tradimento da parte di ella. Il sesso, tema centrale dell’opera moraviana, non avviene mai per piacere. Ne La noia Dino vuole far innamorare la protagonista attraverso il sesso, per poi lasciarla nel momento in cui sarà davvero innamorata. È il racconto di un uomo che vuole esercitare il proprio potere attraverso il corpo, in un rapporto continuo di subordinazione, analogo a quello che costringe Paul Javal e sua moglie al collasso matrimoniale. Il potere di Emilia sul protagonista è troppo forte ed egli può evitare di perderla solamente incassando i soldi della sceneggiatura per poterle comprare la casa e i mobili che tanto desidera.
Sul grande schermo, però, Godard non può avvalersi delle digressioni e delle riflessioni che un romanzo ha la possibilità di offrire. L’unico modo per raccontare questo rapporto è attraverso la carica sessuale incredibile della Bardot, trattata come vero e proprio oggetto del desiderio. D’altronde, nel 1963, non c’era uomo al mondo che non fosse rimasto infatuato dalla Bardot dopo il successo di E dio creò la donna di Roger Vadim.
Godard allora la presenta nuda sul letto, mentre domanda a Piccoli se gli piace il suo corpo. Prende il sole nuda sul tetto di Villa Malaparte, mentre il marito fa un lavoro che non gli piace e che gli serve per tenersi lei, una dea. Brigitte Bardot.
È il film più tradizionale di Godard, dove per tradizionale si intende che ha per lo meno uno svolgimento logico e regolare e non si avvale delle tecniche di montaggio proprio della Nouvelle Vague. Sembra quasi un film del discepolo più capace di Godard, Bernardo Bertolucci (che comunque realizzò Il conformista anche per seguire le orme del maestro). C’è tutta la sensualità di Bertolucci e quel gusto estetico che li accomuna: l’ossessione per il colore e per la struttura dell’inquadratura ( il corpo centrale del film è una lezione di regia per ogni giovane cineasta), il movimento della telecamera e la riflessione sull’arte e sul modo di fare arte. Fritz Lang, infatti, interpreta se stesso e Godard lo omaggia ogni volta che può, con un amore quasi infantile, da figlio a padre. Il disprezzo diventa allora la storia di un film, la testimonianza di un film che quasi si crea mentre viene girato. I protagonisti discutono di romanzi, cinema e di versi del romanticismo tedesco. Il protagonista non vuole scrivere il film, così come Godard non voleva girare una versione cinematografica del romanzo. Entrambi intravedono la possibilità di girare un film che forse non avranno più la possibilità di fare: il protagonista ha la possibilità di consegnare un copione a Fritz Lang e a Godard fu data la possibilità di avere la più grande attrice dell’epoca e un budget piuttosto alto. La vita reale si mischia alla vita del film, subordinandosi ad essa, nel solco del pensiero pirandelliano.
Grazie alla Cineteca si può inoltre assistere alla versione francese, di venti minuti più lunga rispetto a quella terribile italiana, rimaneggiata da Carlo Ponti che ne tagliò diverse scene, tra cui il grande incipit con la Bardot. Nella versione originale si possono sentire i più originali titoli di testo della storia del cinema moderno: niente di scritto, semplicemente la voce di Godard che enumera produttori, attori, direttore della fotografia e tutti gli altri membri della troupe, mentre una telecamera si muove lentamente sullo schermo. Metacinema al suo massimo, in poche parole, Jean Luc Godard al suo apice.
Come se non bastasse Brigitte Bardot, il film offre anche l’occasione di vedere dall’interno la più bella villa del meridione italiana. Quell’abitazione che Malaparte costruì, tramite l’intercessione più o meno legale di Galeazzo Ciano, su un promontorio di Capri. Progettata dallo scrittore stesso, oggi non visitabile perché abitata dagli eredi, si può ammirare in tutto il suo splendore. D’altronde, l’anno scorso, la scena de Il Disprezzo in cui Piccoli sale le scale di Villa Malaparte, fu scelta come locandina ufficiale dal Festival di Cannes.
Qui il trailer, opera d’arte a sé stante, uscito all’epoca per presentare “Il nuovo film tradizionale di Jean-Luc Godard”.
Il Disprezzo – la recensione di un capolavoro che torna in sala
La Cineteca di Bologna riporta nei cinema la versione restaurata del capolavoro di Jean-Luc Godard con Michel Piccoli e Brigitte Bardot.