A man called Ove sta a “candidato all’Oscar come miglior film straniero” come Piuma stava a “in concorso al Festival di Venezia”. Sono film buoni, divertenti, ben realizzati e di un livello che è sopra alla media, eppure vedere nella cinquina il film di Hannes Holm e non Elle di Verhoven, l’ultimo film di Dolan o la Julieta, è comunque una delusione. Come ogni anno, peraltro, si ripresenta lo stesso copione: un grande favorito, che di solito trionfa (noi puntiamo su Il cliente di Fahradi) e un altro papabile vincitore, quest’anno Toni Erdmann di Maren Ade, forti anche della partecipazione a Cannes. A man called ove, ha vinto come miglior commedia agli European Award e dopo un discreto successo negli stati uniti e in patria è arrivato, con sorpresa di tutti, a competere per la statuetta.
Ove è un vedovo di 60 anni, recentemente licenziato, che passa le giornate a sgridare i suoi vicini i quali, secondo lui, non rispettano le severissime regole che lo stato del quartiere prevede. La sua vita cambierà con l’arrivo di una giovane famiglia chiassosa e caotica, grazie alla quale ritroverà la voglia di vivere.
C’è da fare una premessa. Il film non vuole raccontare niente di nuovo e procede senza sorprese o colpi di scena di sorta; è una storia di riscatto, nella quale uno scorbutico e insopportabile vecchietto solitario cambia idea sulle cose. Nella prima parte del film, data anche la stazza del protagonista, lo vediamo come un vero e proprio orco cattivo o un cattivo dei cartoni. C’è chi lo evita per paura e chi lo evita per non subire lamentele di ogni genere, fino all’arrivo di quella famiglia fracassona che gli farà cambiare idea. È il racconto dell’uomo solo che non sopportiamo finché non apprendiamo del suo dolorosissimo passato dal quale non riesce a liberarsi.
Tutta la pellicola si dipana su in modo pienamente “Jarmuschiano”. È un racconto di un piccolo mondo, quello di un quartiere e di un paesino, di diverse vite che scorrono all’interno di alcune villette a schiera poste in periferia dove tutti si conoscono da anni. C’è una divertente sequenza riguardo all’astio che si è venuto a creare tra il protagonista e un vicino, causato da una divergenza , per Ove insanabile: lui guida la Saab, mente Rude ( il vicino) è un appassionato di Volvo. Tutto è vissuto nel microcosmo del quartiere e del lavoro semplice vicino casa, in una pellicola che non vuole mai andare oltre la descrizione e il racconto di sentimenti semplici. Il paesino, il quartiere, le amicizie, il lavoro e la famiglia. A man called Ove è anche un nostalgico racconto su un’epoca che potrebbe non esistere più o che comunque si va estinguendo. Un’epoca fatta di rapporti semplici e quotidiani, dove il vicinato diventa un mondo a parte e dove anche “l’antagonista” del film, è il villain meno pauroso che si possa avere.
L’opera di Hannes Holm convince in quanto non vuole mai strafare o andare oltre quello che si propone di essere. È un racconto toccante, mai noioso o ripetitivo (anche i flashback sono innescati in modo originale e divertente) che regala qualche lacrima e qualche risata allo spettatore, per merito soprattutto di Rolf Lassgård, l’attore protagonista, orco cattivo in principio e Grande Gigante Gentile alla fine. Certo, resta da chiedersi se davvero meritasse la nomination in una categoria che negli ultimi anni è stato piena di pellicole straordinarie. La risposta, probabilmente, è no, così come Piuma, nella sua leggerezza e capacità di divertire, non meritava il concorso ad un festival importante come Venezia. Ma la colpa, ovviamente, non è di A man called Ove , quanto dei membri dell’academy che hanno deciso di estromettere film come È solo la fine del mondo , più per un antipatia ormai ridicola verso Xavier Dolan, che dopo aver riscosso un successo incredibile con ogni film, non è mai arrivato alla serata delle statuette. Noi lo consigliamo e lo promuoviamo, però rimane davvero difficile passare sopra alla scelleratezza dell’Academy che, anche verso Verhoheven o il bellissimo The Handmaiden di Park, si è posto in modo ormai ridicolo.
A Man Called Ove – la recensione della commedia svedese in corsa agli Oscar
Ove è un vedovo scorbutico che pretende ordine e silenzio, ma dei nuovi vicini metteranno a dura prova la sua pazienza.