Marija è una giovane ucraina che si mantiene facendo le pulizie in un albergo a Dortmund: città livida e multietnica, dove non sembrano esserci molte opportunità di lavoro. Il suo sogno di aprire un negozio da parrucchiera viene però minato dal licenziamento e lei si vede costretta a cercare delle alternative per sopravvivere.
In un contesto attuale e culturalmente inaccettabile, l’opera prima del tedesco Michael Koch, mostra il disincanto di una giovane donna che emigrata in Germania in cerca di una vita migliore, assiste invece al degrado morale di una società maschilista e indifferente alla miseria umana.
Stupisce il modo in cui il regista ritrae con innegabile fermezza e sguardo acritico, il profilo tutt’altro che irrilevante di questa giovane immigrata nel suo periodo più delicato e difficile. I suoi sguardi e le sue insicurezze sono abilmente carpite da un linguaggio filmico asciutto, predisposto più alla resa disinteressata dei fatti narrati più che al conforto con lo spettatore. Michael Koch rimane incollato ai volti terrei e perennemente insoddisfatti dei suoi personaggi, i numerosi primi piani quasi ne soffocano i movimenti e il risultato ci riconduce al disagio interiore e all’impossibilita all’azione della protagonista. Marija è certamente caparbia e affascinante nel suo essere spregiudicata e pronta a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, ma pare ormai rassegnata al ruolo che s’è dovuta ricamare su misura per far fronte agli impegni economici e poter badare al padre malato. Assistiamo inermi alle umiliazioni che è costretta a subire dal sesso opposto e dalla società tutta, come risarcimento per una vita di cui non potrà mai gioire o esserne orgogliosa; anche quando in un silenzio umiliante e catatonico, la osserviamo arresa a offrire una fellatio al proprietario dell’appartamento dove risiede, pur di non essere sfrattata e veder sfumati i suoi desideri più reconditi. Perché complice una situazione economica al limite della povertà e l’illusione iniziale di aver trovato il proprio posto nel mondo (in una Germania evidentemente idealizzata) ciò che rimane alla protagonista interpretata da un’indimenticabile Margarita Breitkreiz, è sfruttare il proprio fascino e il proprio corpo come unico mezzo di sostentamento.
Marija è un dramma intenso, algido nella messa in scena e scevro da irritanti cliché utili unicamente a far leva sulla commiserazione e il miserabilismo che tanto aggrada alle produzioni di alto budget. Un tema di profonda attualità, quello dell’immigrazione, che ci viene mostrato senza alcun filtro e preconcetti, raccontato con estrema sensibilità e con l’intenzione di stabilire un confronto tra il pubblico e il quotidiano dei soggetti meno fortunati, le loro paure e le loro aspirazioni.
Eppure ciò che traspare dalla visione ad una seconda lettura, non è altro che la disillusione di una donna fredda e risoluta che, emigrata dal suo paese in cerca di fortuna, giunge in una nuova prigione in cui è lei stessa a rinchiudersi, nella vana speranza di veder realizzato il proprio sogno e recitando una parte scomoda che non sembra poi dargli così rammarico. Forse, come ci suggerisce il finale, l’unico modo che ha per uscirne è scappare prima da lei stessa e dalla propria ombra.
BFM35: la recensione in anteprima di Marija
Il Bergamo Film Meeting si apre con l'opera prima di Michael Koch, che racconta senza pietismi il dramma di una giovane ucraina immigrata in Germania.