Direttamente dall’Ecuador arriva un film delizioso sul rapporto padre-figlia che stupisce per grazia e forza comunicativa. Sobria e con pochissimi dialoghi, l’opera prima che sta ottenendo vari consensi nei festival in giro per il mondo, è uno studio puntuale sulle molteplici difficoltà legate al periodo preadolescenziale di una ragazzina di nome Alba.
La giovane undicenne è molto introversa, solitaria e silenziosa. La madre le è sempre stata vicina, pur non potendo provvedere a lei a causa di una grave malattia che la costringe a letto.
Nell’ultimo periodo però la situazione peggiora drasticamente: la donna finisce esausta in un reparto d’ospedale e Alba viene affidata a Igor, il padre che non vede da quando aveva tre anni. Col tempo i due imparano a conoscersi e si avvicinano a poco a poco; nel mentre Alba cresce e impara ad accettarsi.
Alba: un titolo e un nome eloquente. Così come il sole risorge dopo il suo naturale declino all’orizzonte, così una bambina rinasce dal torpore e da un periodo crepuscolare, quando tutte le sue certezze vengono meno e un nuovo inizio le si profila dinnanzi.
Non sorprende che un debutto così maturo e potente provenga ancora una volta da quel Sudamerica che tanto ci ha sorpreso negli ultimi anni; un bacino fertile di nuovi e promettenti registi come Ana Cristina Barragán, autrice del film. Con questo primo lungometraggio, la giovanissima cineasta di origini ecuadoriane, si dimostra abilissima nel restituire a livello formale il fremito interno di un’anima fragile, apparentemente sicura di sé ma disorientata e impaurita da una realtà che fatica ad affrontare. Seguendo incessantemente i movimenti di Alba, si sofferma spesso ad accarezzare quel suo volto svilito e consunto, quasi non volesse mai lasciarla sola in un mondo ancora tutto da scoprire. La regia incede così claudicante a rimarcare il suo disagio interiore, mentre la narrazione, inizialmente fiacca e indolente, acquisisce sempre più vigore nel prosieguo del racconto, avvalorando il cambiamento e l’ingresso nell’età adulta della protagonista. Evocativa in questo senso la sequenza in piscina verso metà film, in cui osserviamo Alba nuotare a fianco di rugose e attempate signore dai corpi flaccidi, in un gioco di contrari e prospettive che diverte e incanta.
Onnipresente sullo schermo, la piccola Macarena Arias è sorprendentemente comunicativa. Con i suoi silenzi e quei suoi grandi occhi dolenti riesce a infondere nel suo personaggio tutto il malessere e l’inquietudine proprie di chi sta attraversando il delicato periodo puberale. Ci sono le prime mestruazioni, i racconti dei primi baci, gli imbarazzi di fronte agli amici di scuola, senza dimenticare peraltro il difficile percorso di ricongiungimento con il padre, un ometto impacciato ma affettuoso. Il loro rapporto è il vero motore del film, costruito di lunghi silenzi e impercettibili gesti d’affetto, finché una breve gita al mare non aprirà finalmente i loro cuori, dissipando lo smarrimento iniziale. È in quel frangente che il film si assesta, i turbamenti cessano e Alba capirà di aver ritrovato qualcuno su cui contare.
Il quarto film in concorso alla 35a edizione del Bergamo Film Meeting è un dramma splendido, di una tenerezza commovente, realizzato con l’estrema delicatezza di un’autrice sensibile alle sofferenze adolescenziali. Un film cauto eppure così travolgente.
BFM35 – la recensione in anteprima di Alba
Al Bergamo Film Meeting una meravigliosa pellicola ecuadoregna che racconta il rapporto tra un padre e una figlia.