Questa volta History fa un bel buco nell’acqua: dopo aver ottenuto il successo internazionale con la serie Vikings, il canale via cavo americano delude in maniera quasi clamorosa con il suo war drama Six (inizialmente concepito come una limited series, lo show è stato rinnovato per una seconda stagione). Sulla carta il progetto era molto intrigante perché quando puoi fare affidamento su un attore magnetico come Walton Goggins e figurano come produttori esecutivi due vecchie volpi come i fratelli Weinstein la qualità dovrebbe essere garantita. E invece no.
Con il pretesto di raccontare la storia di un mercenario catturato dai terroristi islamici, Six in realtà è un becero spot al corpo dei Navy SEAL.
Creata da David Broyles e William Broyles (sceneggiatore di Entrapment, Apollo 13 e Cast Away), la serie si focalizza sulle vicissitudini di Richard “Rip” Taggart (Walton Goggins), ex membro del Team Six (con qualche macchia nel suo passato da soldato) che viene preso in ostaggio da Boko Haram, un’organizzazione integralista africana; alla notizia del sequestro, i suoi amici ed ex commilitoni, guidati dal leader Bear (Barry Sloane), si attivano all’istante per salvarlo. Non è un mistero che l’industria audiovisiva americana, capeggiata da Hollywood, nel suo glorioso passato abbia sfornato anche molte opere che potremmo definire “di propaganda”, legate a particolari periodi storici degli Stati Uniti (come gli anni ‘80, basta vedere Rambo III e Rocky IV) ma nei tempi in cui viviamo, dove qualsiasi tematica viene messa in discussione in primis dal cinema e dalla serialità televisiva, sembrava come se ci fossimo lasciati alle spalle questo tipo di produzioni. Dal trailer Six si presentava come uno show che voleva fare luce sulle dinamiche del terrorismo internazionale ma, soprattutto, sul lato più oscuro dei militari americani in missione all’estero. Niente di tutto questo. È come vedere uno di quegli spot televisivi dei Marines, solo che in questo caso dura quasi otto ore. Se consideriamo lo script, la serie History è la sagra dello stereotipo: ad affrontare i criminali islamici troviamo infatti maschi alfa con mogli bellissime e famiglie esemplari pronti a tutto pur di tutelare la patria e i propri compagni d’armi; anche il character teoricamente più sfaccettato, ovvero quello di Goggins, non è nient’altro che il classico clichè del soldato tormentato che ne ha combinate tante ma è in cerca di riscatto per ripulirsi la coscienza. Nonostante sia ineccepibile dal punto di vista tecnico, lo show tratta solo superficialmente il tema dello stress post-traumatico dei reduci delle guerre (argomento scottante, visto che si calcola che di PTSD negli States ne soffrano quasi il 20% dei soldati impiegati in Iraq ed Afghanistan e addirittura il 30% dei veterani del Vietnam) e non sfiora nemmeno per sbaglio né la questione delle zone d’ombra che agevolano i gruppi terroristici islamici né quella degli abusi degli americani nei confronti dei civili non coinvolti nelle missioni. Se vogliamo, Six è esattamente l’anti-Generation Kill: se la miniserie HBO di David Simon critica pesantemente la guerra in Iraq con una messa in scena straordinariamente realistica (i protagonisti sono giovani ragazzi senza futuro che diventano, in nome dello Patria, “carne da macello”), il prodotto History esalta invece l’approccio guerrafondaio dipingendo questi uomini come degli eroi, qualunque cosa essi facciano (in confronto, 13 Hours di Michael Bay è un film progressista).
E’ vero che Six è stato concepito appositamente per il pubblico USA (paese dove la retorica militarista è molto forte) e che, considerando l’attuale situazione politica statunitense, potrebbe essere la prima opera a ridare vita (speriamo di no) ad un nuovo filone spudoratamente propagandistico; questo però non toglie il fatto che, agli occhi di un europeo, questo show sia completamente anacronistico e privo di qualsiasi interesse. La più grande delusione di questo inizio 2017.