La famiglia, intesa come aggregato socio-culturale in divenire, è sempre stata osservata in maniera più attenta da registi e sceneggiatori italiani rispetto quanto non abbia fatto il pensiero dominante del Bel Paese, che continua a vederla come un monolite inerme ancorato prevalentemente ai precetti cattolici. Anche se in maniera incerta, La mia famiglia a soqquadro prova a mettere in discussione proprio il concetto di normalità in rapporto alla famiglia.
Nella nuova classe, Martino si sente un perdente fin dal primo giorno di scuola: i suoi compagni sono tutti figli di genitori separati e per questo viaggiano in giro per il mondo e sono ricoperti di regali. Al contrario, Martino ha una famiglia molto felice, ma i cellulari costosi e i vestiti alla moda non sono previsti nel pacchetto. Sarà disposto a spingere i genitori al divorzio pur di essere come tutti gli altri?
Nel 1961 la Disney realizzò Il cowboy con il velo da sposa, film in cui due sorelle gemelle provano in tutti i modi a far rimettere insieme i loro genitori; successivamente, la medesima storia ha avuto ben due remake: nel 1995 in Matrimonio a quattro mani c’erano le gemelle Olsen e, tre anni dopo, Lindsay Lohan impersonava entrambe le protagoniste in Trappola per genitori.
In La mia famiglia a soqquadro invece la situazione è paradossalmente capovolta ed essere figli di genitori divorziati è una situazione da cui si possono ottenere dei vantaggi. Con la sua opera seconda, Max Nardari (regista e produttore indipendente) prende il suo protagonista e lo fa sentire il brutto anatrocollo, l’anormale, il diverso proprio perché ha una famiglia unita. Mentre Riccardo Milani in Mamma o papà? racconta di due genitori che non vogliono più la custodia dei figli per concentrarsi sulla loro carriera, in questo film è il bambino a essere incredibilmente materialista e interessato al suo esclusivo interesse.
È il denaro, unito al conformismo, che porta alla disgregazione del nucleo famigliare, e non le corna o le solite trovate delle commedie italiane. Il concept è originale e possiede un respiro internazionale, dato anche dalla decisione di non localizzare geograficamente la pellicola. Il tema dell’omologazione colpisce nel segno soprattutto perché prende di mira un protagonista molto giovane e un ambiente specifico, la scuola.
Detto questo, la pellicola dall’animo indipendente parte da presupposti nobili ma si perde completamente in fase di realizzazione. La mia famiglia a soqquadro non decide di essere né un film leggero né un prodotto cinematografico sufficientemente profondo; i dialoghi sono un ibrido tra una commedia degli equivoci poco riuscita e il desiderio di non esserlo. I temi trasversali non aiutano a sostenere le forti idee di base: il bullismo velato, la tecnologia (vista in maniera luciferina), la scuola, luogo fondamentale per la formazione dell’identità, resa in maniera caricaturale, distraggono dal desiderio di Martino di possedere gli stessi vestiti e gli stessi oggetti di tutti i suoi coetanei, problema generazionale che da solo avrebbe sorretto tutta la trama.
Essere figli di genitori divorziati è la nuova normalità? L’intuizione intrigante c’era, è stato un peccato non averla perseguita fino in fondo.
La Mia Famiglia a Soqquadro: la recensione in anteprima
Max Nardari realizza una commedia inusuale partendo da uno spunto interessantissimo, ma il risultato poteva essere migliore.