Quattro anni dopo il suo esordio con la commedia La Mossa Del Pinguino, Claudio Amendola torna dietro la macchina da presa cimentandosi in un genere completamente diverso con Il Permesso – 48 ore fuori, in uscita nelle nostre sale dal 30 marzo (il film è distribuito dalla Eagle Pictures).
La pellicola racconta le vicende di quattro detenuti che, grazie a un permesso, escono dal carcere per 48 ore.
Luigi (Claudio Amendola), Donato (Luca Argentero), Angelo (Giacomo Ferrara) e Rossana (Valentina Bellè) si trovano in galera per motivi differenti: Luigi è un criminale pentito delle malefatte compiute nella sua vita, Donato è un uomo dal passato oscuro, Angelo è un ragazzo che si è preso ingiustamente l’intera colpa di una rapina e Rossana è una ragazza altolocata arrestata per traffico di droga. I quattro devono decidere come sfruttare il poco tempo a disposizione, dovendo inevitabilmente fare i conti con il mondo che è cambiato mentre erano dentro.
L’intenzione dell’attore-regista è quella di ritrarre uno spaccato della società italiana.
Scritto da Giancarlo De Cataldo, Roberto Jannone e dallo stesso Amendola, Il Permesso – 48 ore fuori rientra in quel filone noir che, grazie soprattutto al lavoro di un autore come Stefano Sollima, in questi ultimi anni sta riscuotendo grande successo (basta vedere i consensi unanimi di critica e pubblico per Suburra) in Italia ma anche all’estero, segno evidente che, quando vuole, il nostro settore audiovisivo (che comprende grande schermo e televisione) è in grado di essere appetibile a un pubblico straniero. Pur con tutti i suoi difetti, di cui parleremo tra poco, il secondo film dell’autore romano è un prodotto che può essere esportato in altri paesi: influenzato da un determinato cinema di genere americano e francese, Amendola rappresenta un quadro abbastanza realistico del degrado in cui versa la periferia di una grande città (che in questo caso è Roma, ma potrebbe essere benissimo ambientato in una qualsiasi città europea o americana). L’espediente narrativo è lo stesso utilizzato dal film Amores Perros (ovvero ci sono diverse storylines che procedono in maniera parallela) solo che, a differenza dell’opera del premio Oscar Iñárritu, non tutte le trame si incroceranno (solo quella di Angelo e Rossana saranno destinate ad intrecciarsi, le altre due avanzeranno autonomamente).
L’esperimento è molto interessante ma il risultato finale è quello di un film riuscito a metà.
La pellicola ha sicuramente dei punti di forza, individuabili principalmente nel personaggio di Luigi (Amendola è convincente nel ruolo drammatico del delinquente esausto che vuole aiutare il figlio a non intraprendere la strada del crimine) ma soprattutto di Angelo, la vera rivelazione de Il Permesso. Giacomo Ferrara, giovane attore abruzzese, interpreta magnificamente quello che è sicuramente il ruolo più interessante dell’intero lungometraggio (così come sono bravi gli altri ragazzi che danno vita agli amici di borgata di Angelo). Purtroppo non possiamo dire altrettanto riguardo la protagonista femminile del film, Rossana, rinchiusa nel cliché della classica rampolla dell’alta società arrabbiata con il mondo che si mette nei guai (Valentina Bellè non riesce a dare carattere al suo personaggio). Inoltre, nella seconda parte, lo script perde gradualmente di brillantezza, indirizzandoci verso un finale raffazzonato; forse il motivo è legato alla durata della pellicola, 91 minuti, ma la conclusione della vicenda di Luigi (con citazioni western annesse) cozza completamente con quanto mostrato fino a quel punto.
Discorso a parte merita la storyline di Donato e, più in generale, Luca Argentero.
Il tentativo da parte di Amendola di trasformare l’attore torinese in un antieroe – ruolo che non ha mai ricoperto nella sua carriera – non è azzardato, dato che Argentero ha il physique du rôle per interpretare un personaggio come quello di Donato. Però, nonostante questi si sia sottoposto a un duro lavoro fisico di preparazione (i cui risultati sono evidenti), rimane un pesce fuor d’acqua in un ruolo che proprio non è nelle sue corde e non viene nemmeno aiutato dallo script, considerato che le situazioni che si succederanno nel corso del suo minutaggio sfoceranno, in alcuni momenti, addirittura nel ridicolo e nel trash (sembra quasi di vedere un altro film, totalmente scollegato con il resto della pellicola).
Il nostro cinema ha disperatamente bisogno di prodotti come Il Permesso – 48 ore fuori, capaci di trattare il genere in maniera seria e non edulcorata, quindi è da apprezzare la strada intrapresa da Claudio Amendola con questa opera; l’augurio migliore che si possa fare all’attore-regista romano è quello di continuare ad affinare il suo talento da cineasta, in modo tale da lasciarsi alle spalle alcune ingenuità e presentarci in futuro lavori all’altezza di un’industria cinematografica ricca di gloria (purtroppo passata) come quella italiana.