Che Hollywood sia attualmente impegnata in quella che potremmo definire “operazione nostalgia” non è certo un mistero, quello che sorprende però è quanto in là si stia spingendo pur di riempire le sale e svuotare le tasche degli spettatori. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di ben cinque cinematic universe basati su brand di successo, svariati remake e adattamenti di opere di culto, e tutti, chi con più e chi con meno successo, hanno dovuto adattarsi al nuovo linguaggio cinematografico in uso oggi, il che non è necessariamente un male, ma può portare a vere e proprie snaturazioni dei contenuti originali. Purtroppo, almeno in parte, Power Rangers è uno di questi.
Per chi conosce la saga originale, la storia dovrebbe essere piuttosto familiare: l’alieno Zordon (interpretato da Bryan Cranston) ed il suo team di guerrieri si sacrificano per difendere una terra primitiva dalla malvagia Repulsa (interpretata da Elizabeth Banks), ranger caduta e despota spaziale. Milioni di anni dopo, 5 ragazzi uniti dal caso si imbattono nell’astronave del coraggioso alieno, scoprendone i cimeli ed ereditandone il ruolo come difensori dell’universo. Tramite un duro addestramento e la minaccia data dal ritorno di Repulsa, i nostri eroi impareranno a collaborare, combattere i propri demoni e diventare gli eroi di cui la terra ha bisogno: i Power Rangers.
Nel soggetto riecheggiano temi archetipici e avvincenti che, con sfumature diverse, tornano nell’immaginario dell’uomo da sempre, ma la vera essenza del Power Rangers televisivo erano in realtà i toni chiassosi e colorati che trasformavano questi ‘eletti’ in giocattoloni ambulanti, in modo perfettamente coerente con la natura pop dell’originale nipponico Super Sentai del 1975, di cui il team riproposto negli USA dal Re Mida del kid entertainment Haim Saban era un adattamento.
Ora, a oltre quarant’anni di distanza dal TV show asiatico, si decide di intraprendere una direzione diversa e di calcare la mano sulla componente epica della storia, e per farlo si ricerca un realismo che cozza vistosamente con il concept di base del franchise.
A creare problemi non sono né il pacing squilibrato, né la guida a tratti incerta del giovane regista sudafricano Dean Israelite, né il costume design non sempre felicissimo di Kelli Jones; bensì il bisogno della pellicola di prendersi troppo sul serio.
Dello show goffo e spensierato, orgoglioso e forte della propria natura kitsch, questo film ha molto poco, mentre molto troviamo dell’universo narrativo radicato con entrambi i piedi nella realtà di quel Josh Trank che ha firmato il brillante Chronicle e il fallimentare Fantastic 4.
A ben vedere il paragone con Trank è tutt’altro che forzato: Max Landis fu infatti il primo sceneggiatore incaricato di consegnare a Saban Brands il trattamento iniziale per il film dei Power Rangers, e quando il suo script venne rifiutato diventò (privato di Zord e costumi colorati) Chronicle. Pare proprio che ora, a circa cinque anni di distanza, qualcuno abbia pensato di vampirizzare quella sceneggiatura iniziale senza riconoscere alcun credito a un Landis la cui paternità risulta comunque lapalissiana.
Al netto delle accuse di plagio (lanciate dallo stesso autore via Twitter), il film evita intelligentemente di scadere nei toni troppo seriosi del suddetto Fantastic 4 e spezza a più riprese la sua patina nera con delle gag e momenti assurdi anche piuttosto validi e coerenti con il franchise. Nonostante tali intermezzi risultino decisamente apprezzabili, la transizione con le pagine più gritty dello script risulta comunque un po’ forzata.
Uno degli obiettivi che il film di Israelite centra meglio è la caratterizzazione dei protagonisti, decisamente al di sopra della media (molto apprezzabile un inserimento fluido e mai forzato della ‘diversità’) e supportata da ottime interpretazioni. L’altra faccia della medaglia di tale focus sui personaggi è la procrastinazione dell’azione, che arriva in modo massiccio solo a due terzi della pellicola e da lì non lascia spazio ad altro.
Il contributo di Cranston – che a inizio carriera lavorò come voice actor al telefilm – al risultato finale è inferiore rispetto a quanto non avremmo potuto sperare, ma in compenso la villain di Elizabeth Banks funziona bene nonostante il costume da b-movie e una scelta di casting forse non perfetta.
In conclusione Power Rangers è un esperimento interessante e, pur con qualche distinguo, meritevole di nota, che fa effettivamente dei passi nella giusta direzione per reinterpretare l’originale cui si ispira ma pecca di un eccessivo sforzo di omologazione al linguaggio dei cinecomic.
Power Rangers: la recensione in anteprima
I colorati guerrieri dell'omonimo telefilm sbarcano al cinema in una versione pesantemente debitrice al Max Landis di Chronicle.