In una kermesse che presenta pellicole provenienti da tutto il mondo non poteva mancare un film del Sol Levante: al Lucca Film Festival e Europa Cinema infatti, tra i titoli in concorso nella sezione dedicata ai lungometraggi, è stato proiettato in anteprima nazionale Rage (titolo originale Ikari), ultimo lavoro del regista Sang-il Lee.
In Rage procedono parallele tre diverse storylines, collegate fra loro da un duplice omicidio.
Esiste un filo conduttore che lega un uomo gay che lavora nell’ambito della pubblicità, un lavoratore padre di famiglia e una ragazzina adolescente: nelle loro vite infatti entreranno tre personaggi misteriosi che cambieranno per sempre le loro esistenze. C’è solo un problema: uno di questi individui potrebbe potenzialmente essere il killer che un anno prima ha ucciso, a Tokio, una coppia di coniugi (la polizia, per questo caso, sta attuando una vera e propria caccia all’uomo).
La pellicola è un melodramma mascherato da thriller poliziesco.
I primi minuti di Rage si aprono subito con una scena del crimine che lascia intendere allo spettatore di aver di fronte il più classico dei thriller con al centro un serial killer, cosa che per due terzi del film il regista vuole farci credere: vediamo infatti un’indagine, possibili sospetti che attirano la nostra attenzione e uno svolgimento narrativo perfettamente in linea con il giallo, dove non mancano elementi hard boiled (con sangue e, addirittura, scene disturbanti di stupro). Sembra il classico gioco delle tre carte (chi è dei tre uomini misteriosi il colpevole del delitto?) ma, mano a mano che il film prosegue, progressivamente il lato crime scompare quasi del tutto (noi non sapremo mai chi sarà effettivamente il killer) perché in realtà Sang-il Lee fa il gioco delle due carte: spaccia per thriller un vero e proprio melò; Rage infatti, nell’ultima parte, si evolverà soffermandosi sulla sofferenza dei propri protagonisti, in un crescendo stucchevole e, a tratti, molto irritante (le belle musiche di Ryuichi Sakamoto, compositore anche di The Revenant, non riescono ad evitare la deriva sentimentale del finale). Il problema principale di Rage è quello di lasciare, alla fine della visione, una sensazione di amaro in bocca: per fare un buon film di genere (che sia thriller o melodramma), è necessario seguire delle regole ben precise, non si può di punto in bianco snaturare l’essenza dell’opera cambiando all’improvviso drasticamente il tono (a maggior ragione in una pellicola di 142 minuti) perché così si prende letteralmente in giro lo spettatore che si aspettava ben altro. Il rammarico è grande perché Rage è girato molto bene, gli attori sono tutti bravi (in testa il grande Ken Watanabe, che abbiamo già visto in Godzilla, Inception e Batman Begins) e, nonostante qualche lungaggine di troppo, ha anche un buon ritmo ma tutti questi ingredienti, mescolati assieme, non ci regalano un film riuscito.